Ricordo che quando ero in Kazakistan, una volta ospitai a casa due specialisti della Lega delle Cooperative dell’Emilia. Come tanti altri italiani capitati da quelle parti, erano stati consigliati dall’ambasciatore di turno di parlare con me, considerato una specie di “italiano di lungo corso” nel mare della steppa. I due super esperti di agricoltura appresero dal sottoscritto alcune informazioni del Paese e sulle sue tradizioni, ma in verità fui io ad apprendere molto da loro per quanto riguarda un possibile campo di sviluppo per l’economia di quel territorio.
Mi spiegarono che il loro lavoro di ricerca aveva portato alla conclusione che, essendo gran parte della steppa coltivabile, non certo ad agrumi, visto il clima, ma a grano, sarebbe stato possibile ottenere tanto da alimentare centinaia di migliaia di persone. In più, dicevano, e credo che la “profezia” si sia effettivamente avverata, che in un prossimo futuro, visto l’aumento della popolazione nel mondo e la probabile maggiore capacità di acquisto di certi Paesi, il mercato sarebbe stato molto promettente. Alla mia ovvia domanda di profano perché fino allora nessuno ci avesse pensato, mi spiegarono che la terra coltivabile c’era, ma che mancavano i coltivatori e anche i capitali per finanziare questo progetto. Poi, naturalmente, aggiunsero che un aumento molto grande della produzione del grano in pochi anni avrebbe potuto provocare una caduta del prezzo, evidentemente poco gradita agli abituali produttori.
Confesso che dopo questo interessante incontro, in tutt’altre faccende affaccendato, non mi sono più occupato della questione fino a quando, l’anno prima di tornare in Italia, ho saputo della proposta della Cina, respinta dal Parlamento kazako, di inviare un paio di milioni di cinesi a coltivare certe zone del Nord del Paese.
So che ci sono state iniziative di imprenditori locali, ma mi pare che vista l’estensione delle aree coltivabili, ci sarebbe ancora lavoro per tutti (anche se non per i cinesi, che fecero temere al Parlamento kazako di costituire la testa di ponte di una possibile invasione). Ora, pur dovendo confessare di non aver fatto molti passi avanti nella conoscenza dell’agricoltura, davanti alle “lotte dei trattori” mi sono fatto questa domanda: se la “nostra” produzione non può competere con quella di altri, anche per la limitatezza di terreni coltivabili, perché dentro una specie di “nuovo Piano Mattei” anche per l’agricoltura, non si potrebbero indirizzare trattori e trattoristi nella steppa condividendo coi locali gli utili della produzione? Per quanto ne capisco, i metodi di cui “siamo” esperti permetterebbero, almeno in parte, di venire incontro alla difficoltà di trovare la manodopera. Anzi, la prospettiva di lavorare la terra non da schiavi ma da esperti di nuove tecniche agricole, invoglierebbe molti giovani di un popolo in rapida espansione demografica a fare un lavoro che in ben altre condizioni fecero i deportati da queste parti ai tempi di Stalin. Se ho scritto sciocchezze chiedo scusa in anticipo per … “questa invasione di campo”.
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