Giuseppe Bassi, 105 anni d’età, è uno degli ultimi (se non forse veramente l’ultimo) sopravvissuto ad un gulag, i campi di concentramento che i Sovietici utilizzarono durante la Seconda guerra mondiale. All’interno di quell’inferno, ricorda in una recente intervista per Libero, ci ha trascorso 42 mesi, dal 24 dicembre 1942, fino al 7 luglio 1956. Una storia incredibile la sua, vivo per miracolo, un ‘vip’ tra i detenuti, finita anche al centro di un docufilm, “Bassi l’ora“.
Finì nei gulag, prima a Tambov, poi Oranki, Suzdal, Vladimir, Odessa e San Valentino, perché decise di fare “il mio dovere militare, ero sottotenente. Eravamo in linea sul Don, fino alla valle di Arbusowka, la valle della morte“, quando a causa di “un’offensiva russa” venne fatto prigioniero. “Siamo stati circondati ad Arbusowka, abbiamo resistito alcuni giorni”, fino a quando a causa dell’assenza di cibo e armi per difendersi, accerchiati dai russi, si fecero catturare. La strada fino al gulag, ricorda Bassi, fu dura. “Il percorso fu tutto a piedi”, ricorda, “molti morirono durante le marce, almeno 20mila persone“, ma poi le cose non migliorarono.
Bassi: “Sopravvissuto ai gulag grazie ad un anello”
Nei gulag, ricorda ancora Bassi, “durante il giorno si lavorava con turni massacranti“, mentre i viveri erano “un tè caldo al mattino, un pezzetto di burro e un pezzo di pane. A pranzo c’erano zuppa e cassia”, ovvero una cosa simile alla polenta a base di avena, orzo, grano e mais. Fortunatamente, nel suo campo, “non ci furono episodi di cannibalismo“, come ne vicino “Crinovaia” dove il Copro d’Armata Alpino, costretto alla fame, “squartava i cadaveri” in cerca di “polmoni, fegato, parti che si potessero cuocere”.
Nel gulag, ricorda Bassi, sfruttò il suo tempo per disegnare, “sulle cartine delle sigarette”, delle mappe che poi spediva a tutti i suoi amici e che furono fondamentali, anni dopo, per individuare “le fosse comuni” del campo e rinvenirne i cadaveri sotterrati dentro. Dal campo di concentramento, peraltro, ne uscì vivo per miracolo, e racconta che “mi avevano tirato fuori dalla fila per fucilarmi. Poi un soldato russo si è accorto che avevo un anello. Diceva ‘dammelo’ e gliel’ho dato. Lui si è dimenticato del kaput e sono ancora vivo”. Comprese, così, che nel gulag i gioielli avevano un certo valore e nascose il suo orologio, “che era valutato anche tre chili di zucchero”, e divenne “l’unico a sapere l’ora”. Da qui, il titolo del suo film, dalle richieste dei suoi compagni di dir loro l’orario.