La morte tragica di Alexei Navalny ha solo confermato chi è – ed è sempre stato – Vladimir Putin: ma in Occidente, e forse non solo, era già noto. Il silenzio imbarazzato del Pd – e dei media d’area – sulla “marcia di Roma” di Vincenzo De Luca ha invece confermato che neppure fra i dem e i media “antifascisti” era chiaro chi fosse – e chi sia – il governatore campano pre-candidato a succedere a Elly Schlein alla guida del partito storico del centrosinistra italiano (fra i “sorpresi” c’è stato verosimilmente anche un fondatore del Pd proveniente dal Sud, da nove anni in carica al Quirinale).
Traguardare il caso De Luca oltre un’aneddotica folkloristica e provinciale può essere di qualche utilità: sempre osservato che la “marcia dei cafoni” su Napoli capitale, nel 1799, non fu una rivoluzione ma in assoluto il primo moto reazionario al tentativo di instaurare un regime liberale nell’Italia moderna. Capostipite del brigantaggio contro-unitario, la contro-rivoluzione borbonica guidata dal cardinale Ruffo di Calabria covava già alcuni germi remoti della criminalità organizzata dei secoli ventesimo e ventunesimo: sempre immancabilmente anti-Stato (certamente contro lo “stato di diritto” incarnato dalla democrazia repubblicana) quando non addirittura separatista.
Non sembra banale notarlo quando De Luca ha manipolato in piazza l’approvazione di prime misure di autonomia differenziata – avvenuta democraticamente in Parlamento a sette anni da due referendum popolari in Lombardia e Veneto – per farsi paladino di “una certa idea dell’Italia”: non così lontana, alla fine, da quella delle squadracce che nei primi anni 20 del secolo scorso passarono rapidamente dalle smargiassate verbali all’olio di ricino, alle manganellate, al delitto Matteotti e al colpo di Stato. Tutti “memorabilia” che, un secolo dopo, vengono ancora attribuiti al governo in carica e alla sua maggioranza: mai all’opposizione e ai suoi aspiranti leader, neppure quando la cronaca dice il contrario.
I media “liberal” in Europa e perfino Oltre Atlantico hanno intanto subito acceso i fari su trattori e forconi: subito demonizzati come “minaccia neofascista alla civiltà occidentale”. E nel frattempo negli USA la Corte Suprema sarà prevedibilmente chiamata a sciogliere il nodo “Capitol Hill”: cioè la candidabilità o meno di Donald Trump al prossimo voto presidenziale se venisse riconosciuto come mandante dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 (e Trump non si è mai spinto a dare dello “str…” in diretta a Biden, presidente in carica).
Chissà cosa pensa dei casi “Trump/De Luca” un noto opinionista italiano residente da anni negli USA: Roberto Saviano. Il “torquemada” del Mezzogiorno precipitato nell’illegalità, l’implacabile accusatore “democratico” di ogni destra reale ma soprattutto immaginaria. Probabilmente – come avrebbe volgarmente chiosato Benito Mussolini – preferisce “fregarsene”, eccetera.
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