L’attrattiva della bellezza e l’appassionata ricerca della verità, naturalmente insite nell’essere umano, raramente persistono predominando e plasmando l’intero percorso di una vita. La vicenda umana e intellettuale del filosofo Dietrich von Hildebrand, affascinante per molteplici aspetti, suscita vibrante interesse proprio comunicando una visione nitida e splendente della verità, riconoscibile e concreta, incoraggiante e decisiva nell’orientamento delle fondamentali scelte esistenziali. In un clima attuale che rende nebulosa e confusa la stessa differenza fra bene e male, la biografia del filosofo tedesco L’anima di un leone (Castelvecchi, 2023), scritta dalla moglie Alice von Hildebrand e oggi disponibile nell’edizione italiana a cura di Elisa Grimi, consente di accostare la profondità di una ricerca significativa del filosofo tedesco allievo di Max Scheler e di Edmund Husserl, attraverso una narrazione avvincente, ricca di ricordi, incontri, contingenze che lasciano trasparire un sentimento unitario della vita.
La stessa genesi del libro favorisce una scrittura scorrevole, dal tono familiare: la stesura iniziale della biografia nasce infatti dalla penna di Dietrich, che ne stila una buona parte assumendo l’impegno come “un compito d’amore”, un dono da affidare alla sua seconda moglie Alice desiderosa di conoscere a fondo il vissuto precedente al loro matrimonio.
Ne esce un dettagliato manoscritto che va dagli anni della prima infanzia di Dietrich – nato nel 1889 a Firenze – fino al suo approdo negli Stati Uniti nel 1940. “Una giungla di informazioni scritte in tedesco” – così ricorda l’autrice –, cinquemila pagine da selezionare, completare e custodire con il provvisorio titolo La lettera più lunga mai scritta, secondo l’intento originale. Solo diversi anni dopo la morte del filosofo cattolico (deceduto il 26 gennaio 1977 a New York), uscì la prima edizione in inglese della biografia intitolata The Soul of a Lion (Ignatius Press, 2000). Allora già circolavano numerosi e rilevanti libri del pensatore esponente della fenomenologia realista impegnato anche nell’ambito teologico, ma ben poco si sapeva della sua vita intensa e travagliata, sempre ispiratrice di intuizioni e speculazioni destinate a incidere ben oltre il suo tempo.
L’infanzia di Dietrich è tratteggiata in un mondo quasi fiabesco, nel quale i momenti di gioiosa scoperta della realtà sono ricorrenti e incisivi, come l’autore suggerisce nell’incipit delle proprie memorie, dedicando un inno di gratitudine a Dio che gli aveva donato l’esistenza collocandolo in un contesto privilegiato: sesto figlio, unico maschio di Irene e Adolf von Hildebrand, entrambi colti, amanti dell’arte (lui era un importante scultore), della letteratura, della musica, della vita sociale, il piccolo della famiglia respirò fin dalla culla un clima soffuso di bellezza e intriso di particolare affetto. Questo background contribuì ad arricchire e consolidare una personalità libera, assetata di conoscenza nell’indomito desiderio di verità. Fin da adolescente Dietrich avverte con lucidità che la ricerca del vero non si concilia con la visione più diffusa accreditata nella sua famiglia: resterà emblematico l’episodio in cui durante una passeggiata con la sorella maggiore, che insisteva nel ribadirgli che tutti i valori morali sono relativi e completamente determinati dalle circostanze, il quattordicenne Hildebrand, pur snobbato, reagì contrastando con vigore quella concezione.
Lo stesso aneddoto viene richiamato nella prefazione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, che sottolinea come il fascino per il “fulgore di una verità che attrae e unisce proprio perché si trova al di là della soggettività di ciascuno (…) più di un decennio dopo, alla vigilia della Prima guerra mondiale, avrebbe condotto Dietrich von Hildebrand e sua moglie nella Chiesa cattolica”.
Come chiarisce Elisa Grimi nella nota introduttiva, “attraverso la vasta e ricca narrazione della vita del filosofo è possibile avvicinarsi al suo pensiero comprendendo le ragioni della sua produzione di stampo filosofico e teologico, segnata profondamente dalla sua conversione al cattolicesimo avvenuta nel 1914”.
La conversione rappresenta in effetti un momento radicale, di profonda novità nell’approccio alla vita e alla speculazione filosofica: “Dietrich era cattolico e non capiva perché dovesse abbandonare la sua fede raggiunte le porte dell’università. (…) Non usò mai la fede come argomento per una posizione che stava difendendo, ma scoprì quanto profondamente la fede possa allargare e approfondire l’orizzonte intellettuale di una persona. Essa feconda la ragione, la arricchisce e le permette di percepire sfumature e domande che rimangono velate a chi non ha mai ricevuto questo dono insondabile (…) La fede, lungi dall’essere un ostacolo alla ricerca intellettuale, in realtà libera e purifica la ragione umana, così profondamente ferita dal peccato originale”. (pag. 262)
La chiarezza del suo pensiero sempre orientato alla ricerca della verità, una verità mai astratta, ma rivelatrice dell’essenza delle cose, dei fatti, del valore di azioni e decisioni a vantaggio della giustizia e del bene, della tutela della vita, della libertà, si documenta nell’esistenza stessa di Dietrich von Hildebrand. La sua opposizione intransigente e tenace ai totalitarismi, in particolare le conferenze di denuncia degli orrori del nazionalsocialismo a sostegno di una battaglia culturale cui mancò l’appoggio di gran parte del mondo accademico e anche di alcuni cattolici, lo costrinsero a una vita drammaticamente rischiosa, a un esilio prolungato e precario da un Paese all’altro dell’Europa fino alla fuga in America, realisticamente vissuta come un miracolo.
Colpisce l’attualità di una vicenda umana e intellettuale che ha tanto ancora da dire oggi, in un contesto europeo (e non solo) sempre più dilaniato da ideologie pervasive e antiumane: la vita di Hildebrand, il suo pensiero filosofico, accendono luce sul reale rendendoci forse meno ciechi, più consapevoli che per uscire dal dramma delle nostre società agonizzanti occorre tornare ad amare e riconoscere la verità, realizzarla nell’esperienza, esprimerla nella libertà… contrastarne la relativizzazione o peggio ancora la detronizzazione.
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