Sono molte le attività culturali che si tengono nella Casa di reclusione di Opera. Gruppi di lettura e scrittura, lezioni e incontri con autori, presentazioni di libri. È risaputo che accrescere la consapevolezza di sé sia una via per il progresso delle persone. La consapevolezza passa per l’allargamento degli orizzonti, per la capacità di alzare lo sguardo oltre il contingente, per la cura del linguaggio; e non c’è di meglio che confrontarsi con grandi pagine, con grandi stimoli, con cose importanti. Da molti anni, la direzione del carcere di Opera mostra sensibilità e promuove ingressi di enti o singoli che lavorano in questo modo. Come la Scuola di teatro antico Kerkís, diretta da Elisabetta Matelli, docente alla Cattolica di Milano, che da tempo rappresenta tragedie e commedie greco-romane o anche opere moderne, realizzate perché siano educative, nell’accezione più alta del termine.
Ne abbiamo già parlato, ma vale la pena di riprendere il tema, per ringraziare Kerkís e ribadire quanto sia utile. Come quando, sul finire del 2023, c’è stata Antigone di Sofocle, un testo che definire difficile è poco. Eccellente sia per le scelte di sceneggiatura e regia, sia per attori e attrici: superlativi. Le due ragazze che interpretavano Antigone e Ismene erano molto coinvolte nella parte; anche il giovane che ha interpretato Creonte, il “cattivo” della vicenda. C’è una scena formidabile che mostra la lite tra lui e suo figlio, sposo di Antigone: grandiosa! Dura, tagliente, con accenti feroci, modernissima nei risvolti psicologici e nei modi. Occorre complimentarsi con la traduzione dal greco fatta dagli studenti della Matelli, che restituisce un testo fresco e attuale. Bravissimi poi i quattro che erano il Coro, presenti in scena dall’inizio alla fine, dialogavano con i protagonisti, cantavano, si muovevano; ciò rimanda ancora alla regia, ma a loro va il plauso per come vi si sono dedicati. Anche le “parti minori” sono state perfette, fino alla moglie di Creonte, contemporaneamente evanescente, algida e ieratica, che recita senza proferir parola, solo con la postura: non facile.
Un brivido ha percorso la platea quando Antigone, consapevole di aver sfidato le leggi imposte da Creonte, esprime la sua dichiarazione. Andrebbe meditata da tutti, specialmente da politici e giuristi, ma ai detenuti presenti ha suscitato un’ondata di commozione: “Nessuno fissò mai leggi simili fra gli uomini. Né davo tanta forza ai tuoi decreti, che un mortale potesse trasgredire leggi non scritte, innate, degli dèi. Non sono d’oggi, non di ieri, vivono sempre, nessuno sa quando comparvero né da dove”. Leggi non scritte, che dovrebbero guidare le applicazioni positive, nessuno come chi era presente sa quanto troppe volte non sia vero.
Basterebbe, ma all’inizio di febbraio 2024 c’è stato il monologo recitativo tratto dall’Apologia di Socrate di Platone, frutto dell’impegno di Cristian Poggioni, che lo ha magistralmente interpretato, offrendo una stupefacente capacità recitativa e mimica per cui, mentre era Socrate che si difendeva al processo, faceva “comparire” in scena le voci e i volti di coloro che non c’erano: bravissimo.
Ciò che poi preme ora dire è che tali momenti lasciano un positivo strascico di impressioni e di domande tra coloro che vi hanno assistito. Per molti versi si tratta di un pubblico duro, non abituato a simili linguaggi. Vale la pena dire di due detenuti: dichiarano di aver scoperto il teatro grazie a questa presenza e di essersene “innamorati”. Qualcuno ricorda che la prima volta che furono invitati, resistevano, si dicevano disinteressati, ma il giorno dopo Antigone non finivano di ripetere quanto fosse stato bello. Due persone che non hanno studiato (“l’unica scuola che ho fatto”, dice uno dei due, “è la strada”), ma ora sono profondamente cambiate.
E poi, dopo l’Apologia, si è aperto un vero dibattito sul suo tema forte, che rimanda ad Antigone: come lei credeva che ci fosse una Legge sopra le leggi, così il Socrate che si è visto grida la sua fedeltà “al dio” – così lo chiama – che gli impone di dire la verità sempre e comunque, di cercarla, di svelare le maschere di chi si crede sapiente e invece nulla sa. Anche a costo di morire per questo. Già in teatro, dopo la rappresentazione, si è fatto un parallelo tra questo Socrate e Gesù, ma poi in sezione si è continuato, citando Gandhi, Martin Luther King.
Per alcuni giorni, invece che di sport e fattacci di cronaca, o persino al posto delle guerre che ci circondano, parecchi detenuti (criminali? delinquenti?) hanno dialogato tra loro su Legge e leggi, su Verità e Giustizia, su Bene e Male, su che cosa fare qui e ora. Questo è il significato, il principale risultato. Basta per giustificare le fatiche e le noie burocratiche che Kerkís deve superare per venire qui: dona bellezza e, si sa, la bellezza salva.
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