C’è un’applicazione in grado di riconoscere il nostro volto, abbinarlo ai nostri dati e, partendo da una nostra foto, rivelare a chiunque chi siamo. La giornalista Kashmir Hill, che da anni si occupa di tecnologia, dopo una lunga inchiesta è riuscita a scoprire chi l’ha inventata, come, con quali soldi e con quali obiettivi. Tutto è confluito nel libro “La tua faccia ci appartiene”, di cui parla al Giornale. Nello specifico, l’app è Clearview AI, “una compagnia che ha sviluppato una tecnologia di riconoscimento facciale” che attualmente “possiede 40 miliardi di foto”, quindi molte più di quelle che esistono. La giornalista americana ha scoperto l’esistenza di questa app di riconoscimento facciale nel 2019, quando le è apparsa nella richiesta di una registrazione avanzata da un dipartimento della Georgia. Alla fine, è arrivata a Ton-That, “uno che era arrivato dall’Australia negli Stati Uniti a 19 anni, aveva fatto esperienza in vari ambiti tecnologici e creato una app sui capelli di Trump”.
Kashmir Hill ha scoperto che quest’uomo non era solo. “Gli affati erano tutti nelle mani di Richard Schwartz, un uomo legato al mondo dei media e della politica, che aveva lavorato per Rudolph Giuliani a New York negli anni Novanta: era lui a gestire gli aspetti finanziari”. L’app di riconoscimento facciale è nata nel 2016 durante una convention repubblicana di Cleveland. Lì è venuta l’idea a Ton-That, incontrando Peter Thiel, “un imprenditore molto ricco e di grande successo, che poi lo ha sostenuto”. Si tratta del cofondatore di Paypal. Dunque, è stato “il primo investitore della compagnia, che all’epoca si chiamava Smartcheckr”, mettendoci 200mila dollari.
“IN QUESTO MONDO NON ESISTE PIU’ LA PRIVACY”
Per quanto riguarda il funzionamento dell’app di riconoscimento facciale, la giornalista Kashmir Hill spiega che questa prende una foto di una persona ed estrapola una serie di informazioni dal volto, tramite un algoritmo, che funziona come una ‘impronta’. “Quando cerca quella ‘impronta facciale’ nel database, fornisce un elenco di fotografie di persone corrispondenti a quella ‘impronta’, in ordine di accuratezza”. Di fatto, l’app trae informazioni su ogni dettaglio: occhi, misure, lentiggini e angolature. “Funziona anche se ci si copre la bocca con la mascherina”. Il rischio sicurezza aumenta se si riesce ad abbinare la faccia a quella di un profilo esistente, perché “di quella persona trova tutto: il nome, l’età, gli amici, la famiglia, le conoscenze…”.
gA livello di accuratezza, l’app lo è al 99%. “Se l’immagine è di buona qualità, i risultati sono affidabili”. La giornalista ha poi scoperto a sue spese che molte delle sue foto, che non sapeva neppure fossero su internet, erano in realtà presenti. “Così ho capito che, in questo mondo, non esiste più la privacy per come la conosciamo e che rendiamo pubbliche informazioni di noi stessi che non vorremmo fossero tali”. Nel suo libro, la giornalista rivela che la polizia Usa fa già uso di quest’app. “Credo che sia molto utile per risolvere i casi, specialmente di molestie e aggressioni, ma questo non significa che poi l’algoritmo debba tracciarci in ogni momento con qualsiasi telecamera a disposizione”.
“CON QUESTA APP CHIUNQUE PUO’ SAPERE TUTTO DI TE”
Attualmente l’app Clearview AI può essere usata solo dalla polizia, ma ci sono altre compagnie. Ce n’è una che per 30 dollari consente di cercare il volto fino a 25 volte al giorno. “Sostiene di cercare solo l’immagine di chi sottoscrive, ma non ci sono misure tecnologiche che assicurano non sia usata su immagini altrui”, spiega Kashmir Hill al Giornale. La tesi della giornalista è che l’app sia stata usata per riconoscere e arrestare gli assalitori del Congresso, venendo celebrata molto per questo. “Ed era quello che lui (Ton-That, ndr) voleva, che fosse associata a un utilizzo di quel tipo”. I rischi si vedono in Cina, secondo Hill, perché lì “viene utilizzata dal governo per spedire gli oppositori in galera”. Si tratta di uno “strumento per attuare una sorveglianza di massa sulla popolazione”. Invece, negli Stati Uniti preoccupa l’uso al Madison Square Garden. “Inizialmente era per sicurezza, ma ora impedisce di entrare a quegli avvocati di studi legali che abbiano fatto causa al Madison Square Garden per qualche motivo e che, quindi, siano visti come ‘nemici’. Insomma è utilizzata per schedare una certa categoria”.
La legge lo consente, perché è vietato profilare in base a etnia, genere e disabilità, “ma non c’è discriminazione in base alla professione”. Quindi, l’app di riconoscimento facciale potrebbe finire anche nelle mani di un malintenzionato. “Nessuno è più estraneo per nessuno, con questa tecnologia. Chiunque può sapere tutto di te”. Kashmir Hill al Giornale ribadisce che ritiene “ci sia un serio rischio che sia usata come mezzo di controllo sociale, da parte di governi e aziende. Ha aspetti positivi, ma se non la controlliamo è terrificante”. Si può controllare, ma è necessario agire, “limitando chi ha accesso a essa e stabilendo quali individui e con quali ruoli siano abilitati a usarla”.