È stata varata ieri l’operazione navale Aspides, sotto le insegne dell’Ue e il comando dell’Italia, con l’obiettivo di tutelare la sicurezza della rotta commerciale del Mar Rosso dagli attacchi degli Houthi. Secondo la Federazione italiana spedizionieri industriali, rispetto a metà dicembre il traffico merci da Suez è calato del 60%, con pesanti ripercussioni per i porti mediterranei.
Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, evidenzia che «in virtù del breve arco di tempo considerato, statistiche come queste potrebbero non essere molto precise nel rappresentare la situazione dei porti italiani, che certamente non stanno vivendo un buon momento. Il numero di attacchi alle navi nel Mar Rosso è sceso e questo potrebbe dipendere da un’ulteriore diminuzione dei transiti o dal fatto che dopo le incursioni angloamericane contro le basi degli Houthi si sia arrivati a una sorta di compromesso per cui a un certo numero o tipo di navi viene consentito il transito».
C’è da sperare che l’operazione Aspides possa migliorare la situazione.
C’è indubbiamente da augurarselo. A prima vista potrebbe stupire che il comando sia stato affidato all’Italia. Tuttavia, non dobbiamo trascurare il fatto che siamo il Paese più danneggiato a livello di attività portuale e che la nostra Marina e quella francese sono quelle che più contano nel Mediterraneo. Inoltre, storicamente l’Italia ha buoni rapporti diplomatici con i Paesi arabi.
La scorsa settimana sono state diffuse le nuove previsioni economiche della Commissione europea. Anche alla luce della difficoltà dei nostri porti, rischiamo di avere un primo trimestre dell’anno stagnante?
Non mi pare che dalle nostre filiere produttive arrivino segnali di scarsità di materie prime e semilavorati importati. Probabilmente c’è buona disponibilità in magazzino e si pensa che la situazione migliorerà. Non vedo nemmeno indicazioni allarmanti sul fronte della domanda: certamente c’è stato un rallentamento, ma non una brusca caduta. Per il momento ci troviamo, quindi, in una situazione di stagnazione e, secondo le previsioni della Commissione europea, ci dovrebbe essere un miglioramento nella seconda parte dell’anno.
Questo perché si confida in una ripresa del potere d’acquisto per via di una continua disinflazione. C’è il rischio che questa previsione non si realizzi?
Può darsi. Ho letto comunque con interesse l’editoriale di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di domenica in cui avanza la proposta di emettere debito comune europeo finalizzato a spese e investimenti nel settore della difesa e a riallineare costi e benefici della transizione green. Dal suo punto di vista, un’operazione di questo genere dovrebbe valere almeno il doppio del Next Generation Eu. E non escludo che prima che si insedi la nuova Commissione si arrivi a un accordo che concretizzi qualcosa di simile, anche con un contributo della Bce. In questo modo si potrebbe spingere un po’ di più la crescita (parliamo, comunque, di decimali) nella seconda parte dell’anno rispetto a quello che potrebbero fare i singoli Stati, un po’ tutti oberati dal debito, compresa la Germania che aveva cercato in qualche modo di nasconderlo, ma è stata fermata dalla Corte Costituzionale.
Finora, però, è stata proprio la Germania a opporsi a forme di mutualizzazione del debito…
Penso che ci sia la possibilità di una svolta in tal senso, perché c’è una forte ansietà in Germania su come sta andando l’economia. Non credo che Banca centrale e Governo possano tergiversare. Non ritengo nemmeno che questa liquidità in più in circolo possa tradursi in inflazione in tempi brevi, visto che verrebbe inserita in settori specifici. Un’altra cosa importante da fare per spingere la crescita sarebbe detassare le imprese che fanno investimenti.
Un piano di questo tipo andrebbe varato prima delle europee?
Non è detto. Credo che alcuni leader europei potrebbero trovarsi in difficoltà di fronte al loro elettorato nell’annunciare un piano del genere: avrebbero paura di perdere voti, soprattutto per il necessario passaggio di competenze da centralizzare a Bruxelles. Indubbiamente, però, tutto potrebbe essere messo in discussione nel caso l’esito delle urne portasse a una forte discontinuità politica a livello europeo.
(Lorenzo Torrisi)
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