Il sociologo e politologo Luca Ricolfi ha pubblicato sulle pagine del Messaggero una riflessione sul disagio che i giovani sembrano provare in sempre maggior misura nella società contemporanea. Prendendo, infatti, “in considerazione il cinquantennio che va dal 1969 (anno dell’esame di maturità facilitato e della liberalizzazione degli accessi all’università) fino al 2019”, infatti, si è assistito “la instaurazione progressiva di condizioni materiali e immateriali sempre più agiate“, ma che sembrano aver avuto sui giovani l’effetto esattamente contrario.
Non a caso, infatti, sottolinea Luca Ricolfi “nel breve lasso di tempo che va dall’ultimo anno pre-Covid (2019) agli anni più recenti per cui si dispone di statistiche (2022 e 2023) si sono improvvisamente impennati sia i comportamenti autolesionistici o di ritiro sociale”. Una situazione, peraltro, collegata che emerge è che mentre il disagio giovanile veniva combattuto attivamente, “i convegni dei sociologi leggevano tutto” con quell’ottica, mentre ora che è nuovamente tangibile “i sociologi latitano, quasi avessero passato la palla a psichiatri, psicologi e pedagogisti”. Ne consegue, sottolinea Ricolfi, che il disagio dei giovani è la somma proprio del “cinquantennio felice 1969-2019”.
Ricolfi: “Senza ostacoli davanti ai giovani il loro disagio si è accentuato”
Il disagio dei giovani, analizza ancora Ricolfi, è sorto più forte di prima dopo “la rimozione sistematica e progressiva di ogni possibile ostacolo, nella famiglia, nella scuola e nella società, e la piena affermazione della cultura dei diritti, ovvero dell’attitudine a pretendere piuttosto che a conquistare”. I ragazzi, sottolinea il sociologo, non solo diventati “più fragili e impreparati ad affrontare difficoltà, sconfitte, sfide difficili”, ma sono anche “più insicuri, più suscettibili, più in competizione reciproca (anche grazie ai social), e in definitiva meno capaci di perseguire la felicità esistenziale”.
Secondo Ricolfi, il disagio dei giovani “fino allo scoppio del Covid è rimasto allo stato latente. Poi non più”, perché gli anni di pandemia sono stati, “non solo per i giovani, anni di ristrutturazione mentale, che hanno indotto a riflettere sulla propria esistenza, le proprie scelte, le proprie priorità”, ma quasi sempre esclusivamente dal punto di vista “degli adulti e del mercato del lavoro” e l’effetto sui più giovani è stato quello, conclude Ricolfi, di allargare “il fossato fra quel che si desidera e quel che si ha. Non tutti sono stati in grado di reggere lo scarto. I dati indicano che alcuni hanno reagito in modo auto-distruttivo, altri in modo aggressivo” e per gli adulti, forse, “è venuto il momento di farsi qualche domanda”.