Un martire che ha cercato di ripristinare lo stato di diritto, che si è scagliato contro la corruzione retaggio dell’era sovietica, mettendo alla berlina anche l’ipocrisia della Chiesa ortodossa e dei suoi vertici. E che ora, da morto, può continuare a rappresentare un modello per chi vorrà tentare di opporsi al sistema autoritario che ruota intorno a Putin. Tocca alla moglie e agli ex compagni di avventura politica di Aleksej Navalny provare a diventare un punto di riferimento per l’opposizione. Anche se, spiega Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, per incrinare il potere di Putin occorrerebbe un insuccesso militare o una crisi economica che il popolo non potrebbe sopportare.
Più che i programmi politici di Navalny conta la sua volontà di smascherare il regime. È questa la cifra del personaggio?
Non aveva programmi ben definiti, era un capo populista che ha suscitato entusiasmi manifestando contro la corruzione dei potenti. Voleva uno stato di diritto: un grosso problema dell’eredità sovietica era quello della corruzione, tramandata a tutti i livelli. Considerava Putin il capo della mafia del Cremlino.
Qual è stato il suo percorso politico?
Da giovane stava con i liberali, eredi del dissenso sovietico, anticomunista. Erano personaggi un po’ distanti dal popolo, mentre Navalny incarnava lo spirito della gente, soprattutto dei giovani che volevano uno Stato normale e più uguaglianza. All’inizio aveva avuto uscite di tipo nazionalista: era un po’ confuso nelle sue idee.
È stato nazionalista anche successivamente?
No. La situazione è talmente degenerata che si è messo contro Putin e contro gli eccessi di nazionalismo. In Occidente, in precedenza, era stato criticato perché nel 2008, in occasione della guerra contro la Georgia, si era dichiarato dalla parte della Russia. Quando è scoppiato il conflitto contro l’Ucraina, tuttavia, si è schierato contro Putin. Il punto comunque non sono tanto i suoi programmi politici: è entrato in una spirale di repressione per cui è diventato il campione della libertà e della giustizia.
Quali sono stati i suoi meriti da questo punto di vista?
Ha messo a nudo gli effetti endemici del sistema, la sua natura oligarchica e sempre più autoritaria, adesso diventata totalitaria, escludendo qualunque opposizione. Era un personaggio popolare, suscitava entusiasmo ed era capace di intuire lo spirito della gente e di esprimerlo. Uno così non c’è adesso in Russia.
Ci sono altri personaggi che si oppongono al sistema?
Ci sono persone diverse da lui, politicamente molto preparate, anche loro in prigione: Vladimir Kara-Murza, Ilya Yashin. Ci sono quelli fuori dal carcere: il primo oppositore di Putin, Mikhail Khodorkovsky, un oligarca che voleva un’economia liberale e si è fatto dieci anni di lager. Se ci fosse la democrazia personaggi in grado di fare proposte ci sarebbero, in una situazione totalitaria come quella attuale, una persona che incarna lo spirito del dissenso popolare non c’è più. Potrebbe esserlo la moglie, che ha annunciato di voler continuare l’opera del marito.
La stampa occidentale ha subito attribuito a Putin la responsabilità della morte di Navalny: che elementi ci sono per ipotizzare che il suo decesso sia stato pianificato?
Gli unici che hanno diffuso notizie sul corpo di Navalny, quelli di Nova Europa, hanno ricevuto informazioni anonime dal pronto soccorso secondo le quali era pieno di lividi. Se ci sono segni che possono far pensare a iniezioni di veleno, spasmi o atti di violenza è tutto da vedere. C’è quella strana consequenzialità per cui tre minuti dopo che era morto era già stato diramato un comunicato stampa. Un detenuto avrebbe riferito che la sera prima della morte di Navalny tutti sono stati chiusi in cella, in baracca, alle 20. E che c’erano un sacco di guardie in giro. Ci sono molti aspetti che fanno propendere per l’abbastanza evidente ipotesi che sia stato avvelenato o ucciso. Al di là di questo c’è quello che ha vissuto Navalny, dalla carcerazione ai trasferimenti. Questa sarebbe solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Fino al giorno prima era stato visto in video in tribunale, sembrava in piena forma.
Chi può raccogliere la sua eredità politica?
La moglie è all’estero e non può più rientrare. E bisogna vedere se riuscirà a fare uscire i figli e a proteggere i genitori di Navalny. Lei potrebbe riaggregare l’opposizione. Anzitutto tutti i membri della Fondazione anti-corruzione (FBK), voluta dal marito, alcuni dei quali di buona personalità. E poi altri oppositori fuori dalla patria insieme ai quali i seguaci di Navalny finora non hanno voluto fare niente. Potrebbero diventare un punto di riferimento. Ma tra un mese ci saranno le elezioni con la consacrazione di Putin: sarà dura.
Cosa comporta la morte di Navalny in vista delle elezioni presidenziali?
Putin non vuole che ci siano manifestazioni di dissenso. Navalny aveva proposto di fare il mezzogiorno contro Putin, andando tutti a votare a quell’ora per un qualunque candidato che non fosse il capo del Cremlino. Sembrava potesse essere Boris Nadezhdin, ma poi gli hanno impedito di presentarsi. Questa è la sua ultima iniziativa. Magari ci sarà veramente un picco di votanti a quell’ora. Sarebbe un modo per lasciare un segno, qualcosa per la Russia del futuro per la quale oggi non si riesce a intravedere una prospettiva.
Si è parlato di Navalny come uomo di fede. Lo era veramente?
Criticava anche i vertici ecclesiastici ortodossi accusandoli di essere conniventi con l’oligarchia. Già dagli anni 90 chiamava il patriarca Kirill, quando era metropolita, l’oligarca ecclesiastico, perché era coinvolto in traffici di ogni genere e andava in giro con orologi costosi, sfoggiando evidenti segni di lusso. Ha sempre detto di essere un credente, cristiano, che apprezzava anche le altre religioni. Uno dei suoi slogan era: “Il cristianesimo se non è libero diventa fanatismo”. Voleva la libertà anche nell’espressione religiosa.
Nelle ore della morte di Navalny si è parlato anche di quella, a gennaio, nelle carceri ucraine, di Gonzalo Lira, un giornalista cileno-americano, detenuto per aver distribuito materiale che giustificava l’invasione russa. Un caso che ha avuto qualche eco?
Ne so poco anch’io. Comunque, spiace dirlo, ma gli ucraini e i russi non è che siano molto diversi: hanno tutti la stessa radice sovietica. L’Ucraina sta tentando di riconvertirsi come Paese democratico e libero, ma ha ancora molta strada da fare.
Alla fine, qual è la vera eredità di Navalny?
Lascia l’idea di una fase che si è conclusa, in cui qualcuno ha tentato di contrastare la presa del potere del sistema oligarchico putiniano. Navalny ha fatto tutto il possibile. In quella Russia ormai finita è stato lasciato un segno. Bisognerà vedere se ci saranno persone, legate alla sua memoria o no, in grado di esprimere qualcosa di nuovo.
Non è la fine di una speranza che Navalny in qualche modo incarnava?
Navalny è un personaggio classico della Russia: un martire che protesta contro il potere, come Solzenicyn nell’URSS, come altri prima, a cui si può fare riferimento. Anche se fosse rimasto in vita non era pensabile che potesse guidare dal lager un movimento che portasse al cambiamento. Ora per il fatto di avere una sorta di aureola, diventa più rappresentativo e forte come segnale. Putin, intanto, ha voluto mettere un punto: “Non sopportiamo nessun dissenso”.
Cosa deve succedere perché si debba incrinare la dittatura putiniana?
Dall’esterno una sconfitta militare. Bisognerà vedere come si concluderà l’avventura bellica e se ne verranno promosse altre: in Moldavia o in Kazakistan. Dall’interno un crollo dell’economia, difficile da pronosticare: gli effetti delle sanzioni non sono chiari. Se la gente dovesse iniziare a vivere un forte disagio, da questo punto di vista, potrebbe succedere qualcosa.
(Paolo Rossetti)
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