Egregio direttore,
ha suscitato molto interesse e curiosità, almeno per il momento, oltre alle immancabili critiche, l’idea da poco avanzata da Guido Bertolaso (attuale assessore al Welfare di Regione Lombardia ma in passato, dal 2001 al 2010, direttore del Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio) di introdurre nel comparto socio-sanitario una “tessera a punti”. Strumento molto utilizzato nel marketing commerciale dove trova estesa applicazione in tantissimi settori e con obiettivi ed esiti diversificati (sconti economici, acquisizione di gadget e di regali di vario tipo), sia quando si rivolge alla popolazione generale sia quando è indirizzata a sottogruppi specifici di popolazione (i bambini in particolare), a chi scrive non risulta che sia mai stata proposta nel nostro Paese nel contesto dei servizi socio-sanitari, dove rappresenterebbe una assoluta novità, anche se a dire di Bertolaso stesso esisterebbero iniziative simili in qualche nazione e nella letteratura scientifica.
Le innovazioni che è naturale attendersi in sanità riguardano l’introduzione di nuove terapie, di nuove tecniche diagnostiche, di nuovi strumenti tecnologici, di nuovi servizi, e così via, cioè innovazioni indirizzate a migliorare la cura (in senso lato) dei pazienti che hanno un bisogno di salute: in questo contesto la proposta di una tessera a punti rappresenta una idea del tutto originale ed innovativa che giustifica l’interesse ma anche le obiezioni che ha suscitato nei commenti apparsi in questi giorni sui media. Vediamo allora in cosa consiste la proposta e quali potrebbero essere i suoi pregi e difetti.
Il tutto prende avvio da una constatazione condivisa e che non caratterizza la sola Regione Lombardia ma è diffusa in tutto il Paese: la scarsa adesione dei cittadini alle proposte ed alle attività che qualificano la prevenzione sanitaria. La scarsa partecipazione alle attività vaccinali, sia quelle straordinarie (Sars-CoV-2) che quelle di routine (influenza, morbillo…); la insufficiente adesione alle attività organizzate di screening oncologico (mammella, cervice uterina, colon-retto); la bassa attenzione verso stili di vita ed abitudini salutari (attività fisica, dieta…) o, al contrario, l’adozione di comportamenti potenzialmente nocivi (fumo, eccessivo consumo di alcol…), e via elencando, fanno della prevenzione il classico parente povero e trascurato delle attività sanitarie, con le evidenti conseguenze in termini di danni alla salute (oltre che di costi per il SSN) che emergono, in genere, a distanza quando ormai i buoi sono scappati dalla stalla. Da questo punto di vista qualsiasi iniziativa, anche in apparenza originale o inusuale, dovrebbe – almeno astrattamente ed in teoria e salvo necessaria valutazione prima di essere praticamente adottata – essere vista con favore, nella misura in cui intende portare acqua al mulino della prevenzione: e questa, almeno stando alle dichiarazioni, appare l’intenzione alla base della iniziativa di Bertolaso.
Trattandosi di una proposta del tutto innovativa ed originale per il settore sanitario, ci si deve attendere (come del resto avviene per qualsiasi altra proposta anche molto meno originale) la solita formazione dei due partiti dei favorevoli e dei contrari: speriamo che questo aiuti a chiarire i pregi ed i difetti dell’iniziativa e non rappresenti solo una occasione di ilarità (come indicato da qualche commento già letto) e di polemica politica o istituzionale. Dicevamo che l’idea è alquanto originale per il contesto sociosanitario e pertanto, oltre ad esplorare le eventuali esperienze estere già documentate, merita innanzitutto di essere precisata, caratterizzata, e valutata a priori prima di essere implementata. Quali sono le attività che possono far parte della proposta?
Alcune sono facilmente candidabili e rilevabili come le vaccinazioni e gli screening, altre pongono evidentemente delle problematiche maggiori per la loro identificazione e rilevazione (stili di vita, hobbies…). La rilevazione e registrazione delle attività deve avvenire in maniera omogenea, condivisa, formalizzata attraverso strumenti e regole (chi rileva? chi registra? con quali strumenti? con che sistema informativo?), deve essere ovviamente informatizzata e riferita al singolo cittadino (con gli eventuali problemi di privacy che ne conseguono), deve dare luogo ad un carico burocratico e amministrativo accettabile dal sistema nel suo complesso ed economicamente sostenibile: tutti elementi, quelli esemplificativamente elencati, che dovranno essere esaminati, valutati, operazionalizzati, se si vuole che la proposta non rappresenti una semplice “boutade”, un sasso lanciato da una mano che però si tira indietro.
C’è poi tutto il problema dei “punti”, ovvero degli incentivi e delle premialità che tale proposta può mettere in gioco. Se le questioni cui si è fatto cenno in precedenza rappresentano elementi più tecnici e più facilmente affrontabili perché non molto dissimili da quelli già esaminati in altre proposte o in altri contesti, il tema degli incentivi può chiamare in gioco elementi più delicati e che possono introdurre nel sistema sanitario distorsioni che sarebbe necessario evitare.
Facciamo un esempio. Tra le premialità che a titolo esemplificativo vengono in mente subito e che sono state anche già indicate ci sono gli incentivi economici: utilizzo dei centri termali, sconti nei comprensori montani (skipass), ingresso con riduzione ad eventi non gratuiti. A fronte di questi esempi vengono subito all’occhio due tipologie di criticità: da una parte la veicolazione dell’idea di una sanità, di una prevenzione, legata a vantaggi ed incentivi economici, percorso che può facilmente generare distorsioni (al momento non specificamente prevedibili) che sarebbe opportuno evitare perché finirebbero con l’influenzare negativamente i principi di universalità, uguaglianza, ed equità su cui è costruito il SSN; dall’altra, si pensi alle esemplificative proposte riportate in precedenza, si crea un evidente problema di equità, perché tali proposte sono accessibili solo ad una parte della popolazione, mentre gli incentivi e le premialità dovrebbero di essere a disposizione di tutti o indirizzate preferibilmente al migliore raggiungimento degli obiettivi di prevenzione.
Questo sta ad indicare che la riflessione sul tema degli incentivi da associare alla proponenda “tessera a punti” deve essere particolarmente attenta ed approfondita. La proposta di Bertolaso, a prescindere dalle problematiche legate alla sua realizzabilità (e quelle riportate in questo contributo rappresentano solo un piccolo inizio della discussione), ha un indubbio pregio: ci richiama a “lavorare di più sulla prevenzione nei fatti e non solo a chiacchiere” (come ha detto l’assessore lombardo nel suo intervento al Forum sanità di Forza Italia a Milano), a mettere in piedi anche azioni innovative ed originali che aiutino a produrre salute, intervenendo così su un settore della sanità (la prevenzione appunto) ancora oggi ingiustamente trascurato. Che la prevenzione abbia bisogno di stimoli ed incentivi è un dato di fatto indiscutibile: bene allora alla valutazione della proposta di una “tessera a punti” che vada in questa direzione.
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