Anche le divisioni palestinesi ostacolano il raggiungimento della pace, o almeno l’avvio di una trattativa. Un tentativo per ritrovare la loro unità è stato messo in cantiere dalla Russia, smaniosa di affermare un suo ruolo nella crisi mediorientale, riunendo 14 fazioni in un incontro che dovrebbe svolgersi dal 29 febbraio al 2 marzo a Mosca. Una sorta di missione impossibile che vede, da una parte, Hamas, che non riconosce lo Stato di Israele, e dall’altra l’ANP, disposta a sostenere l’ipotesi di due popoli in due Stati. Due posizioni inconciliabili: un avvicinamento, osserva Toni Capuozzo, giornalista e inviato di guerra, si avrebbe solo nel caso in cui in Hamas si rompesse il collegamento fra l’ala militare di Yahya Sinwar e quella politica di Ismail Haniyeh. Una eventualità, anche questa, tutta da vedere.
In attesa dell’incontro di Mosca, la Cisgiordania è stata teatro di un attentato, rendendo ancora più incandescente una situazione già ad alta tensione, mentre il generale Gantz annuncia uno spiraglio nelle trattative per ostaggi e tregua al Cairo: una speranza troppo spesso annunciata per credere che si traduca in realtà.
La Russia riunisce a Mosca dal 29 febbraio tutte le fazioni palestinesi. Con quale obiettivo? È possibile riunirle tutte sotto la stessa bandiera per presentarsi compatti agli israeliani?
È abbastanza evidente la volontà della Russia di affermare un proprio ruolo centrale in Medio Oriente, cosa che è già accaduta in Siria. In questo momento, però, non possiamo sapere se tra un mese la dirigenza interna, a Gaza, di Hamas sarà caduta nelle mani di Israele. Anche per questo è difficile sapere cosa significhi riunire tutte le fazioni palestinesi, tenendo presente che la separazione fra Hamas e Autorità Nazionale Palestinese nella Striscia è stata più che traumatica. L’ANP di Ramallah ha un’opportunità unica: sta aspettando che Hamas sia ridotta ai minimi termini per sostituirla a Gaza e per essere protagonista di un processo che porti a uno Stato palestinese. La forza dell’ANP, pur molto indebolita, sta nel fatto che propugna l’esistenza di due Stati; la forza di Hamas è che pensa a un solo Stato e alla cancellazione di Israele. Per quanto si sforzeranno i russi, sono posizioni inconciliabili.
Il tentativo della Russia, insomma, dovrebbe essere destinato al fallimento?
Potrebbe essere che i sopravvissuti di Hamas si decidano ad accettare due popoli e due Stati. Ma è molto difficile: anche Israele la rifiuta come ipotesi a breve termine.
E se in Hamas prevalesse l’ala politica, mettendo a tacere quella militare e terroristica?
Questo può essere se sono vere le voci che danno per interrotti i collegamenti fra Yahya Sinwar e Ismail Haniyeh, che non riuscirebbero a comunicare. I due hanno mostrato posizioni con sfumature diverse. Paradossalmente, più radicale l’Hamas sul terreno, più disponibile alla mediazione l’Hamas che sta in Qatar. Se Sinwar viene preso o muore nelle fasi della cattura, ne verrà fatto un eroe nel pantheon dei palestinesi, ma la dirigenza esterna assumerà posizioni diverse dalle sue.
Oltre ad Hamas e ANP, ci sono altri soggetti che possono giocare un ruolo nella galassia palestinese?
La Jihad Islamica, che ha in mano alcuni ostaggi e che sta con Hamas. C’è stato un incontro in Libano al quale erano presenti entrambe le organizzazioni e dove hanno espresso le stesse posizioni.
L’obiettivo dell’incontro a Mosca per i russi, quindi, è verosimilmente quello di ritagliarsi un ruolo nello scenario della guerra, ma sarà difficile che riusciranno a unificare i palestinesi?
È un tentativo di far accettare a tutti l’Autorità Palestinese, anche se poi la discriminante sarà sempre quella: l’ANP riceverà soldi e potere dalla comunità internazionale, a cominciare dagli USA, nella misura in cui sarà favorevole ai due Stati. Vorrebbe dire una Hamas ammansita. La divisione interna ai palestinesi resta un problema in vista di una possibile pace e della istituzione di uno Stato autonomo.
In un attacco a un checkpoint fra Gerusalemme e Maale Adumim sono morte tre persone: due palestinesi che avevano sparato e un giovane israeliano di 20 anni. La destra al governo ha già chiesto di aumentare la presenza di coloni in Cisgiordania, oltre che i controlli. La West Bank è destinata a esplodere?
Il cosiddetto piano di pace americano prevede il ritiro dei coloni, rispettando i confini del 1967. Ovviamente, per la destra israeliana e per il movimento dei coloni è una corsa contro il tempo ad affermare la legittimità della presenza in Giudea e Samaria. Con questo attentato si mostra la faccia estremista dei palestinesi che non favorisce il cambiamento. Attaccare così dà l’idea dell’incapacità di praticare una via politica. È violenza allo stato puro. Le politiche della destra e di Hamas, d’altra parte, sono speculari: entrambe dicono no ai due Stati. La destra vuole solo quello di Israele; Hamas e altre formazioni radicali ammettono un solo Stato: la Palestina.
La Cisgiordania, comunque, è stata oggetto di molte incursioni da parte dell’esercito israeliano.
L’Intifada ha avuto luogo in Cisgiordania, non a Gaza; quello è il posto dove sono continuamente a contatto l’IDF, i coloni e i palestinesi. La Striscia è la rampa di lancio per i razzi, ma senza che ci fossero occasioni di scontro o sassaiole. La Cisgiordania è il vero teatro dello scontro. Anche perché comprende Gerusalemme.
Gerusalemme diventerà un nuovo fronte del conflitto dopo la decisione del governo Netanyahu di ridurre l’accesso alla Spianata delle Moschee?
È il solito braccio di ferro. È ovvio che la preghiera del venerdì è sempre stata seguita da scontri, ed è così da decenni. Bisogna vedere a chi verrà negato l’accesso. In passato, lo si faceva con i giovani, sapendoli protagonisti degli scontri, lasciando passare anziani, bambini e donne.
Il generale Gantz ha parlato di uno spiraglio per riaprire la trattativa su tregua e ostaggi e con lui anche gli americani. Si parla di una delegazione di Israele al Cairo proprio per questo. C’è davvero speranza che i colloqui stavolta portino a qualcosa di buono, che Hamas abbia ridotto le richieste?
Gantz gioca su due tavoli, quelli dell’opposizione e della maggioranza di governo: è entrato nel gabinetto di guerra lasciando temporaneamente la minoranza e in qualche modo deve rendere conto al suo elettorato. Ventilare la possibilità che ripartano i negoziati serve anche ad ammorbidire la scelta di continuare fino a quando l’operazione militare non sarà conclusa. Sarebbe diverso se le stesse dichiarazioni venissero da Netanyahu o da Smotrich.
Queste benedette trattative, insomma, non si sa ancora se porteranno a qualcosa?
Rimane nevralgica la questione degli ostaggi: sono l’ultimo baluardo per Sinwar e gli altri, nello stesso tempo sono l’ultimo alibi per Netanyahu. Se liberassero tutti gli ostaggi senza dichiarare la resa, come gesto umanitario, cosa farebbe? Lo metterebbero in grosso imbarazzo. Però non vedo Hamas così duttile, così corsara sul piano della politica. È un’idea che non è nello stile di Hamas.
La situazione degli sfollati a Gaza, intanto, è sempre più disumana. È stato sospeso anche l’invio degli alimenti. Possibile che non si riesca a sbloccare la situazione?
Di loro se ne fregano tutti. Se ne frega Netanyahu, se ne frega Hamas. Anzi, all’organizzazione palestinese va bene perché sono un bastone fra le ruote dell’offensiva israeliana. Sono vittime di tutti.
(Paolo Rossetti)
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