Il copione era già scritto. Esponenti di varie parti politiche avevano da tempo condiviso la certezza, a Bologna come a Roma, che il terzo mandato per i governatori non sarebbe passato. Per ragioni di destra e di sinistra. Cioè “condominiali”. Elly Schlein non vuole fornire opportunità a Stefano Bonaccini. Vuole – dicono – levarselo di torno. Matteo Salvini gioca a rimpiattino con Zaia. E sarà tra poco curiosamente da vedere se Elly offrirà o meno il prepensionamento in Europa a Stefano, perché tale è sempre stato – a sinistra – il viaggio politico a Strasburgo. Di Sergio Cofferati, per fare un esempio di lusso, si sono perse le tracce quando è divenuto europarlamentare, dopo il non esaltante per non dire inutile mandato da sindaco a Bologna.
Il dato però in definitiva deprimente è che queste scelte sembrano sempre perennemente dettate solo e soltanto dai problemi condominiali di coabitazione interna ai partiti. Non da ragionamenti di spessore sugli equilibri e le prospettive delle nostre arrugginite istituzioni. Così come le prossime elezioni europee verranno usate – con scarso appeal popolare – solo per misurare i pesi politico-elettorali dei vari leader politici. E nel Pd che vacilla nelle sue pulsioni interne, diversi circoli stanno sotto sotto augurandosi un magro esito per la Schlein, il 3 giugno, per potersene sbarazzare. Sempre a sinistra, in alto loco a Bologna, c’è chi però va avvisando: la “ragazza”, ovvero la segretaria del Pd, “ha la pelle dura; non l’han vista arrivare la prima volta, potrebbero non vederla arrivare nemmeno la seconda”. Le urne, quasi oracolo di Delfi, ci diranno in proposito qualcosa.
Sulla questione no al terzo mandato se non altro va dato atto di una maggiore coerenza a Giorgia Meloni, che ne fa un assetto più generale, prevedendo il limite ai due mandati anche per il futuro “premier” eletto dal popolo, se diventerà legge costituzionale. Questa dei limiti dei mandati, per essere onesti, è una questione che attraversa varie democrazie. Fa parte del delicato tema dei pesi e dei contrappesi perché le maggioranze non degenerino e diventino dispotiche, come profetizzava Alexis De Tocqueville. Valga per tutti la consuetudine quasi ferrea del limite a due mandati per i presidenti americani, non rispettata solo durante la Seconda guerra mondiale, con Roosevelt. Dopo il crollo del comunismo in Russia, fu previsto per il presidente questo limite. E per un “giro” Putin lo rispettò, salvo poi, una volta saldamente implementato il proprio potere, mutare la legge per diventare zar di fatto senza scadenze, pur con la parvenza elettorale.
Per tornare in casa nostra, in Italia, Salvini ha ripetuto una verità già nota da tempo: trovare gente di valore e competente, per fare politica, e quindi per trovare validi sindaci, validi governatori, è sempre più faticoso. Una ragione di questa enorme difficoltà è che i partiti da tempo non sono più delle autentiche scuole di buona amministrazione. Anzi, spesso un valido governatore o un bravo sindaco, se rischia di fare ombra al leader nazionale del proprio raggruppamento, rischia di trovarsi tarpato. E potremmo elencare non pochi nomi di rilievo, nella recente storia.
L’unico modo di formarsi è cimentarsi. In questo va dato atto alla sinistra di avere per decenni saputo formare una classe dirigente amministrativa locale, premiando con carriere garantite chi avesse saputo fare bene il sindaco o il presidente di Provincia o di Regione. A costoro, fino a qualche anno fa, un passaggio successivo a ruoli più alti era garantito. Non era affatto infrequente che i primi cittadini di vari comuni si ritrovassero poi parlamentari. A destra questa lungimiranza è mancata. Colpevolmente, tanto da ritrovarsi oggi a corto di classe dirigente. Ma tale scarsità comincia a colpire anche a sinistra. Ecco da dove ha preso le mosse trasversalmente la questione del terzo mandato, al di là delle pulsioni neofeudali che possano esserci sottotraccia in taluni casi e talune aree del Paese. La questione di fondo sarebbe più nobile: non litigare su un “dettaglio” tutto sommato secondario, quale il limite dei mandati, ma ripensare, con tutti gli equilibri e i contrappesi che richiede la democrazia moderna, il disegno generale delle nostre istituzioni, a tutti i livelli. Ma finora è sempre stata una missione impossibile che ha visto naufragare tutti i predecessori della Meloni.
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