Tutti i giorni fuori dal carcere per lavorare: così Rosa Bazzi impegna il suo tempo a ridosso della revisione del processo per la strage di Erba, ripresa dalle telecamere di Quarto Grado all’esterno della struttura a cui è stata destinata nell’ambito dei benefici di cui gode da detenuta per buona condotta. Oggi 60enne, Rosa Bazzi fu arrestata che aveva 43 anni e da 17 è in cella, condannata in via definitiva con il marito Olindo Romano per il massacro dell’11 dicembre 2006 costato la vita a quattro persone: Raffaella Castagna, il figlio di 2 anni Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa, Valeria Cherubini.
Il 1° marzo prossimo, davanti alla Corte d’Appello di Brescia, si terrà la prima udienza di revisione e la difesa spera di arrivare al ribaltamento della sentenza con una assoluzione. A sostenere la tesi dell’errore giudiziario anche il sostituto pg di Milano, Cuno Tarfusser, che per primo ha depositato istanza di revisione del processo perché convinto che i due condannati non siano i veri responsabili della mattanza. Rosa Bazzi, reclusa a Bollate, dal gennaio scorso può uscire quotidianamente, alle 7 del mattino dal lunedì al venerdì, per recarsi sul posto di lavoro e fare rientro nel penitenziario a fine turno. Olindo Romano è detenuto nel carcere di Opera.
Strage di Erba, le parole di Tarfusser sulla revisione del processo per Rosa Bazzi e Olindo Romano
Dopo aver depositato la sua istanza di revisione del processo sulla strage di Erba, convinto dell’estraneità di Rosa Bazzi e Olindo Romano al massacro di via Diaz, qualcuno lo aveva definito “pazzo”, uno scellerato che, forse a caccia di visibilità, attentava al buon andamento della giustizia arrivando a calpestare il regolamento del suo ufficio per difendere due assassini. Ma Cuno Tarfusser, oggi sostituto procuratore generale a Milano e già giudice della Corte penale internazionale dell’Aja, non intende fare un passo indietro rispetto alla sua decisione di chiedere che il caso torni in un’aula di tribunale.
Il magistrato ha dichiarato cosa lo ha spinto a chiedere che il caso sia riaperto: “Ho fatto la richiesta di revisione affinché si rifaccia il processo perché ritengo che le prove che all’epoca hanno portato alla loro condanna all’ergastolo non giustificano la loro dichiarazione di colpevolezza. Penso che già a suo tempo le prove erano debolissime e poco consistenti, se mai si può parlare di prove. Anche se c’è il rispetto di fondo verso le sentenze. Però anche le sentenze possono sbagliare e io credo che siano sbagliate e l’ho scritto“. La sua scelta di proporre istanza di revisione lo ha visto finire sotto procedimento disciplinare su impulso della procuratrice generale Francesca Nanni che lo ha segnalato al Csm. Ma Tarfusser è certo di non aver violato alcun regolamento e, cosa ancora più importante, di aver agito secondo i principi di verità e giustizia che devono animare l’azione di ogni magistrato: “Secondo me le prove non reggono per mantenere in piedi questa condanna. Non sono né colpevolista né innocentista. Io ho studiato gli atti, consapevole di quello che stavo facendo, e ho scritto la richiesta di revisione. Si possono commettere degli errori – ha dichiarato Tarfusser a Tv7 –, però gli errori si devono ammettere. Se si cerca di coprire gli errori, prima o poi saltano fuori (…). Se non avessi fatto la richiesta di revisione, io non potrei più dormire, non sarei più sereno con me stesso e con la mia deontologia (…). Io non indico colpe e non fornisco prove. Io rilevo dagli atti certe situazioni che sottopongo alla valutazione del giudice. Io ho esercitato una facoltà che è prevista dalla legge. Secondo l’accusa disciplinare, l’avrei fatto violando il regolamento interno. Cos’è più importante, un regolamento interno all’ufficio o la legge?“.