Il ministro Valditara, di fronte agli ennesimi atti di violenza nei confronti degli insegnanti, ci va subito giù duro e preannuncia presìdi di “polizia per proteggere le scuole” e “presidi psichiatrici per istituti e famiglie in ogni provincia”. Effettivamente, in questo primo periodo scolastico, il numero di aggressioni che si registrano nelle scuole, con l’accoltellamento della professoressa di Varese e quello del 15enne nel Milanese, è salito a 27 casi. Per non parlare delle aggressioni da parte dei familiari. Allora, non c’è altro modo che trattare gli istituiti scolastici alla stregua di un quartiere malfamato da far presidiare dalla polizia e, perché no, anche dall’esercito. E, allora, non può mancare l’istituzione di un servizio di tipo psicologico, se non addirittura psichiatrico.
Questa la cronaca nera della scuola. Se invece si ha la pazienza di seguire i siti (spesso pessimi) delle istituzioni scolastiche, o i social e gli articoli di stampa locale, abbiamo un altro film di quello che accade quotidianamente nelle aule. Una cosa che colpisce della narrazione scolastica è che, per la maggior parte dell’anno scolastico, le scuole sono impegnate esclusivamente per l’orientamento scolastico in vista delle nuove iscrizioni. Tutto quello che si fa è sostanzialmente finalizzato ad accaparrarsi i nuovi iscritti. E non ci sarebbe niente di male, se non che i mezzi sono separati dal fine. Infatti, negli ultimi tempi gli istituti fanno a gara per accreditarsi come “scuola senza…”. E così dapprima abbiamo avuto la scuola “senza zaini” e poi un crescendo: senza voti, senza interrogazioni, senza programmi, senza libri, senza cattedra, senza bagni distinti per sesso.
E si potrebbe continuare all’infinito. Una scuola senza scuola, in balia delle mode. Un enorme opificio di iniziative che non può nascondere l’emergere di una drammatica diffusa deficienza nelle elementari abilità del saper leggere e scrivere. I risultati Invalsi 2023 delle superiori confermano le difficoltà del sistema. Gli effetti del Covid non accennano a diminuire: ormai da tre anni un maturando su due non raggiunge la sufficienza in italiano e sono altrettanti gli scarsi in matematica. Sono ragazzi che dopo 13 anni di studio sanno naturalmente leggere scrivere e fare di conto, ma non sempre capiscono fino in fondo il senso di quello che leggono e faticano a condurre in porto un ragionamento logico-matematico. Nelle regioni del Nord le cose vanno leggermente meglio: il 62% degli studenti ha almeno la sufficienza in italiano e in matematica, con punte del 66% per la sola matematica nel Nord-Est. Ma al Sud è un disastro: tre giovani adulti su cinque sono insufficienti in italiano, due su tre in matematica. Ciò nonostante c’è un aumento vertiginoso della dispersione scolastica, e il Decreto Caivano è diventato il provvedimento legislativo più invocato in situazioni sempre ingestibili. Da dove nasce tanta violenza?
La risposta, quella vera, quella che va alla radice del problema umano è arrivata, a sorpresa, durante l’udienza generale di mercoledì 7 febbraio tenuta da Papa Francesco. “Nel nostro itinerario di catechesi sui vizi e le virtù, oggi ci soffermiamo su un vizio piuttosto brutto, la tristezza, intesa come un abbattimento dell’animo, un’afflizione costante che impedisce all’uomo di provare gioia per la propria esistenza”. Per Francesco c’è una tristezza che conviene e una “seconda figura di tristezza che si insinua nell’anima e che la prostra in uno stato di abbattimento. È la tristezza del mondo che produce la morte, una malattia dell’anima che nasce nel cuore dell’uomo quando svanisce un desiderio o una speranza. In questa situazione molti si crogiolano nella malinconia, permettendo che essa incancrenisca il cuore. La tristezza è come il piacere del non piacere”.
Lo diceva anche Shakespeare qualche secolo fa: “La violenza è il frutto odioso della malinconia”. Questa frase fu, nel 1985 (lo scrittore morirà solo due mesi dopo) oggetto di una lettera che due studenti di Agropoli (Salerno) si scambiarono con Italo Calvino (di cui abbiamo da poco celebrato il centenario della nascita). Il grande scrittore aveva commentato su Repubblica le tracce del compito di Italiano proposte alla Maturità e a proposito della traccia sulla violenza aveva scritto: “Speriamo che i giovani sappiano dire qualcosa d’originale, cioè darci delle spiegazioni che possano servire anche per noi, partendo dai comportamenti osservati nei loro coetanei o nella gente. Oppure meglio ancora sappiano guardare dentro sé medesimi e vedere gli impulsi violenti che ciascuno porta in sé”.
I due studenti scrivono a Calvino per raccontargli che cosa di originale li aveva guidati nello svolgimento della traccia sulla violenza partendo dalla frase di Shakespeare. Calvino rispondendo ai due maturandi dice qualcosa di grande: “Alla prima occasione che avrò di parlare di questi temi – le occasioni purtroppo non mancano, anche se spesso mi tiro indietro per non buttare parole al vento – cercherò di riallacciarmi al vostro discorso”. Nelle questioni scolastiche è un continuo buttare parole al vento. Quante educazioni sono state introdotte nella scuola italiana? Possibile che di fronte all’orrore del male non scatti il desiderio di trovare uno sguardo capace di farci scrutare nel profondo dell’abisso umano? Uno sguardo come quello di Giambattista Vico, che seppe cogliere alcuni momenti ed aspetti della dimensione educativa che egli, fin dall’infanzia, respirò nei vicoli della sua Napoli, non certo con meno problemi educativi di quella di oggi.
La dimensione educativa dell’opera vichiana è uno dei focus di tutta la sua opera, dagli anni della giovinezza fino agli anni del suo impegno come docente universitario e giurista. E acutamente notava via via lo sgretolarsi dell’unità del sapere, tanto che in una sua prolusione alla gioventù studiosa delle lettere nella regia università di Napoli nell’ottobre 1708 diceva: “Oggi invece, ascoltatori, ci si istruisce guidati per caso da un aristotelico nella logica, da un epicureo nella fisica, da un cartesiano nella metafisica; da un galenico si apprende la teoria della medicina, da un chimico la pratica, da un accursiano le istituzioni della giurisprudenza, da un fabrista, s’impara a leggere i libri delle Pandette, da un alciatano quelli del codice. E così l’insegnamento di queste risulta essere disordinato e spesso rovesciato, così che, sebbene vi siano persone dottissime per ogni parte del sapere, però nella totalità, che è il fiore della sapienza, non hanno consistenza. Perciò, sembrandomi ciò uno svantaggio, vorrei che i professori delle università ordinassero tutte le discipline in un unico sistema, adeguato alla religione e allo stato, il quale rispettasse una dottrina in tutto coerente e fosse insegnato secondo l’uso pubblico”. Alla scuola italiana è andata peggio.
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