Il centrosinistra – “campo largo” Pd-più-M5s – ha vinto le regionali in Sardegna. Punto e a capo.
Le ha vinte di un’incollatura, ma al netto dei voti (non pochi: oltre l’8%) distratti dall’ex governatore Renato Soru, sulla carta, nel perimetro del centrosinistra guidato nel voto di domenica da Alessandra Todde, sfidante (vincente) dell’amministrazione di centrodestra uscente. Punto e a capo.
“Se vincesse Alessandra Todde, sarebbe la prima volta in assoluto che il M5s governa una regione; la prima volta in assoluto che l’alleanza Pd+M5s vince in un’elezione regionale; la prima regione strappata al centrodestra dal 2015” (Lorenzo Pregliasco su X, ieri mattina alle 10). Punto e a capo.
Qualche riflessione è tuttavia necessaria. Nel 2019 il centrodestra si aggiudicò la regionali sarde in misura netta. 47,7% contro il 44,12% aggregato fra “Campo progressista” (32,92%) e M5s (11,20%), che si erano presentati separatamente ai tempi del Conte 1 gialloverde. E cinque anni fa il voto di marzo fu il trampolino di lancio per un’affermazione ancor più marcata alle europee del giugno successivo. Acqua passata: o forse no; dipende. Anzitutto dal brand con cui il centrodestra issò Christian Solinas al vertice di una regione che – per categorie grezze – non era mai stata “di centrodestra”: certamente mai “di destra”.
“Partito Sardo d’Azione”: i voti a Solinas erano veri, la suggestione storica un po’ più ardita. Perché il PSdA era stato fondato 98 anni prima dai reduci della Brigata Sassari: quelli di Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu, che (forse) si legge ancora nelle scuole, Piccola Biblioteca Einaudi. Autonomisti fino alle midolla (e infatti ancora nel 2019 sotto quell’insegna è stato eletto un senatore votato un anno prima nelle liste della Lega federalista). Ma dopo la Grande Guerra anzitutto antifascisti, della prima ora. Irriducibili: Lussu, fuggito dal confino di Lipari, l’ebbe alla fine vinta sui “neri” e fu ministro nel governo “azionista” di Ferruccio Parri, il primo dell’Italia libera.
La facciamo breve? La Sardegna “d’Azione” è sempre stata quella. È quella che ha dato i natali a Enrico Berlinguer: sassarese prima che primo segretario “moderno” del Pci; e “santo” indiscusso nel paradiso dell’Italia democratica. È la Sardegna che – nello stesso secondo 900 – ha dato all’Italia repubblicana due presidenti su undici (nessun lombardo, nessun veneto, nessun emiliano): Antonio Segni e Francesco Cossiga. Due “democristiani di destra”? No: due sardi, anzi due sassaresi. Tutti “laici” a modo loro. “Antifascisti” (anti-Roma) sempre. Punto e a capo.
Onore delle armi a Todde per aver battuto – assieme al contendente Paolo Truzzu – anche Soru. Il patron di Tiscali – forse il nome-simbolo della New Economy in salsa italiana – non è riuscito a bissare i fasti del successo del 2004, ricalcato allora sull’incredibile performance del suo titolo all’esordio (+2500% in cinque mesi nella primavera 2000). Erano i tempi del centrosinistra a trazione Ds: quelli di Massimo D’Alema premier e dell’Opa Telecom, gli euro che contano più dei voti.
La vittoria a Cagliari contiene anche questo warning sempiterno per Elly Schlein e Giuseppe Conte: la Sardegna non perdona chi non mantiene le promesse “sugli euro”. E boccia chi non è credibile con le sue promesse elettorali.
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