Caro direttore,
non si placano le discussioni, a mio parere spesso strumentalizzanti, sugli scontri tra studenti e polizia a Pisa e mi azzardo a dire anch’io la mia. Premesso che non sono uno studente, né un poliziotto, un insegnante, un sociologo, un politico, ma solo un semplice cittadino.
Come tale, ho trovato impropria l’uscita, meglio la reprimenda, del Presidente Mattarella nei confronti del ministro degli Interni, e quindi della polizia, un intervento a mio modesto avviso ai limiti della correttezza istituzionale. E, sempre come parere personale, un intervento fortemente politico, perché mi chiedo se la reazione sarebbe stata di tale portata se al Governo ci fosse ancora il partito del Presidente. Non è un caso che “i manganelli” siano stati uno degli elementi portanti della campagna Pd/M5s nelle elezioni in Sardegna poco tempo dopo.
Nelle dichiarazioni del Presidente mi ha fatto particolarmente riflettere una frase: “Con i ragazzi i manganelli esprimono fallimento”. Una frase condivisibile, che può essere estesa anche oltre i ragazzi, ma che pone alcune domande, principalmente su chi è all’origine del fallimento.
I commenti sembrano concentrati sul fallimento della polizia e c’è da sperare che la dinamica degli incidenti venga chiarita al più presto e vengano chiarite le responsabilità dell’accaduto. Tuttavia, vi sono altri possibili protagonisti del fallimento cui, forse, si riferiva implicitamente il Presidente: la famiglia e la scuola, con sullo sfondo una politica incapace di fornire veri ideali e concreti progetti per perseguirli, essendosi ridotta a un continuo scontro da stadio. Che si tratti di politica interna o internazionale.
Visto che qui si trattava di studenti, vorrei fare alcune osservazioni sulla questione scuola, meglio, della sua funzione educativa nei confronti dei giovani, in collaborazione con l’altro polo, la famiglia, una collaborazione doverosa per entrambe. I fatti di Pisa portano in primo piano il problema della progressiva dissoluzione del principio di responsabilità. Sotto questo profilo, è logico che sia innanzitutto la polizia ad essere chiamata a rispondere del suo comportamento, ma ciò non toglie che anche gli studenti debbano essere richiamati al dovere di essere responsabili delle proprie azioni.
Il Presidente ha affermato la necessità di tutelare la libertà di manifestare pubblicamente le proprie opinioni, cosa indiscutibile, ma ciò deve avvenire nel rispetto delle regole, di legge e del convivere civile. In uno Stato democratico, come è l’Italia, le regole non sono emesse per limitare la libertà di alcuni, ma per tutelare la libertà di tutti e dirimere gli eventuali contrasti. La polizia è uno degli organi istituzionalmente dedicati a questo.
Perché una manifestazione possa definirsi pacifica non basta che non appaiano armi tra i manifestanti, gli insulti o i tentativi di sfondamento sono comunque atti non pacifici; si può anche decidere di comportarsi in questo modo, ma bisogna poi accettarne responsabilmente le conseguenze. Moltissimi anni fa partecipai alle manifestazioni davanti al consolato britannico per il ritorno di Trieste all’Italia, fummo caricati dalla polizia e ne prendemmo, ma non si accusò la polizia, anzi il problema principale era di non “prenderne” di nuovo, una volta tornati a casa.
Credo sia chiaro che il punto non è sostituire le bacchette scolastiche, ricordo di un passato non recente, con i manganelli dei poliziotti, ma non credo neppure che il principio guida dell’educazione moderna possa essere la massima liberista del laissez faire, laissez passer.
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