Da una parte la Conferenza consultiva politica del popolo, dall’altra l’Assemblea nazionale del popolo: sono le due sessioni con le quali il Partito comunista cinese presenta i suoi programmi per il futuro, nelle quali vengono affrontati i grandi temi dello sviluppo economico e della politica estera. Anche se la priorità questa volta, nelle sessioni programmate in questi giorni, va sicuramente alle questioni economiche. La Cina fa segnare un +5,2% di Pil nel 2023, ma, al di là delle ottimistiche dichiarazioni di facciata, ci sono alcune dinamiche che preoccupano, come il calo dell’11,7% degli investimenti diretti esteri. Un valore che non sarà così facile portare al rialzo, spiega Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, anche per il peso che sta esercitando la nuova legge sui segreti di Stato, in base alla quale gli impiegati delle imprese straniere rischiano l’arresto anche solo per aver chiesto delle informazioni commerciali su società a partecipazione statale.
Pechino, per altro, punta a una sorta di autarchia per assicurarsi anche dal punto di vista tecnologico l’autonomia dall’economia mondiale. Un altro obiettivo il cui raggiungimento incontra qualche difficoltà: per i semiconduttori, ad esempio, la Cina dipende da Taiwan, perché costa meno acquistarli lì che produrli in patria. Sulla politica estera tutto è in stand-by: si attendono le presidenziali americane. Se dovesse arrivare Trump, a differenza dei russi, i cinesi non gioirebbero: il tycoon non dimostra simpatie per la Cina. Anzi. Le difficoltà dei cinesi potrebbero avere ripercussioni sull’Italia: vendiamo prodotti di lusso in Cina solo se l’economia interna va bene.
La priorità nelle due grandi assemblee nelle quali la Cina discute del suo futuro sembra in particolare il rilancio degli investimenti stranieri, pesantemente ridotti negli ultimi tempi. Perché le aziende degli altri Paesi non hanno più così fiducia nel sistema cinese?
Dal punto di vista della comunicazione esterna le due assemblee coincidono con articoli piuttosto trionfalistici, pubblicati dai quotidiani ufficiali, secondo cui la crisi economica è finita. Al loro interno, però, i cinesi sanno bene che una cosa è la propaganda e una cosa è la realtà, quindi affronteranno i temi della crisi economica, compreso il calo degli investimenti stranieri, che in parte dipende da restrizioni di tipo legislativo e di sicurezza nazionale. Una cosa che certamente non favorisce gli investimenti che arrivano dall’estero, infatti, è la nuova legge sui segreti di Stato, che indubbiamente stringe la morsa su chi trasmette informazioni sui diritti umani all’estero, ma per altri versi è un po’ kafkiana.
Qual è la ragione per cui la legge rischia di allontanare le società estere dalla Cina?
Per la rivelazione di segreti che interessano la sicurezza nazionale ci sono pene graduate, fino a quella di morte, ma chiedere quali sono questi segreti è già di per sé un reato: la lista dei segreti è segreta. È ovvio che le aziende straniere siano preoccupate. Nel 2023 si sono viste arrestare impiegati cinesi che semplicemente sono andati in banca a chiedere se un’impresa era affidabile e pagava puntualmente. Li hanno fermati per aver cercato di carpire dei segreti di Stato. Le aziende in Cina sono tutte a partecipazione statale, in questo contesto si può dire che le informazioni su di loro sono tutti segreti di Stato. Questa legge è nuova, era già dura ma adesso è stata indurita ulteriormente, il testo è stato pubblicato pochi giorni fa ed entrerà in vigore a maggio. Mentre i commentatori, anche sulla stampa italiana, si focalizzano sui diritti umani, sull’aumento di pene, per esempio, per chi passa informazioni a Bitter Winter, in realtà questa norma ha suscitato molta preoccupazione nel mondo delle aziende.
Alla luce di queste norme, quindi, non sarà affatto facile riportare gli investimenti stranieri in Cina?
I cinesi da una parte vorrebbero favorirli, ma dall’altra ci sono tutta una serie di regolamenti che non vanno in questa direzione. Come la stretta, anche questa rinforzata, sulla comunicazione elettronica: proseguono, ad esempio, i blocchi di Gmail. È vero che sono aggirabili con un VPN, ma è anche vero che c’è una lotta continua fra le autorità cinesi e l’amministrazione del cyberspazio. Tutto questo controllo strettissimo sull’informazione e la comunicazione chiaramente crea un clima che dà fastidio alle aziende straniere. Per i cinesi, però, mantenere questo controllo è importante. Ci sono, insomma, due esigenze che vanno una contro l’altra: più è stretto il controllo, più le aziende si preoccupano per i loro impiegati che corrono dei rischi. Saranno indotte a lavorare meno con la Cina e magari ad andare in India, dove questi problemi non ci sono.
Uno dei temi delle due sessioni è quello delle nuove forze produttive, delle imprese cinesi in grado di tenere il Paese al passo con l’innovazione tecnologica. Quali sono i piani di Xi Jinping?
Questo è il grande progetto di Xi del decoupling: l’idea di creare una sorta di autarchia per cui anche in caso di invasione di Taiwan le sanzioni internazionali contro la Cina preoccuperebbero meno. Anche questo aspetto comporta dei problemi. Ci sono prodotti che i cinesi non sanno realizzare o lo fanno a costi più alti dei vicini. Il caso più tipico è proprio quello dei semiconduttori: se li comprano a Taiwan, costa meno che produrseli in casa.
I rapporti con gli Stati Uniti, invece, a che punto sono?
I cinesi dicono che sono a un livello molto basso. Non credo, tuttavia, che siano un grande tema di discussione, perché da questo punto di vista tutto è in stand-by in attesa delle elezioni presidenziali americane. Altri Paesi, come la Russia, si aspettano molto di buono da Trump, i cinesi no perché il candidato repubblicano ha una retorica anti-cinese molto forte.
I colloqui che ci sono stati con Biden recentemente non hanno sortito effetto?
Ci sono stati ma il mondo, visti i sondaggi, ha il forte timore (o speranza nel caso di alcuni) che Biden duri poco.
Uno dei fronti su cui è impegnata la Cina è quello del Mar Cinese Meridionale, non solamente per i rapporti con Taiwan, ma anche per quelli con altri Paesi come Filippine e Giappone. Qui la strategia del Partito quale sarà?
Continueremo a vedere delle schermaglie senza che succeda nulla di decisivo prima delle elezioni americane, che saranno un punto osservato con attenzione da tutti questi Paesi. I segnali che arrivano dalla Cina dicono che le due sessioni siano concentrate soprattutto sull’economia: nonostante gli articoli propagandistici, il Paese non è fuori dalla crisi. È questa la priorità del dibattito. Il tema della politica estera per ora non è centrale.
L’Italia che conseguenze deve aspettarsi dall’attuale situazione economica cinese?
L’interesse dell’Italia, al di là della questione della Via della Seta che è irrilevante, perché tedeschi e francesi che non sono in Belt and Road con i cinesi fanno più affari di noi che ci siamo stati, è che riparta il mercato interno, perché noi vendiamo alla Cina soprattutto prodotti costosi, che il consumatore cinese compra se l’economia va bene. Una questione sulla quale qualunque mossa dell’Italia non ha nessuna influenza perché dipende da fattori interni cinesi.
(Paolo Rossetti)
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