Quella sul presunto dossieraggio non è l’unica inchiesta della procura di Perugia su una clamorosa fuga di notizie. A ricordarlo è la Verità, evidenziando che in quel caso i giornalisti erano molto più numerosi e importanti. A far la differenza anche il fatto che l’imputato, “cancelliere esperto” della procura, ha patteggiato una pena di un anno e due mesi per rivelazione di segreto e abuso d’ufficio ed è andato in pensione, prendendosi di fatto tutte le colpe. Dalla sentenza del gup Natalia Gubilei è emerso che aveva scaricato illecitamente circa 1.800 carte riservate in 34 diversi accessi: 282 documenti del fascicolo Sanitopoli, 994 dell’inchiesta Palamara, altri 264 da due fascicoli riguardanti l’esame farlocco di Luis Suarez, 259 documenti dell’inchiesta sulla fantomatica Loggia Ungheria. Il funzionario era Raffaele Guadagno, la cui vicenda ha consentito di scoprire come tra il 2018 e 2022 veniva somministrata ai lettori la cronaca giudiziaria.
I giornalisti si muovevano in pool, raccogliendo le veline giudiziarie, ma il quotidiano parla anche di investigatori, pm e cronisti agli stessi ristoranti e alle stesse feste. Da questi incontri sarebbero nate notizie. In quel caso Guadagno era il trait d’union, visto che distribuiva carte e comande. I magistrati indicavano i bersagli, che venivano comunicati ai cronisti. La procura di Perugia ha ottenuto la condanna anche per il reato di rivelazione di segreto, ma solo per due documenti consegnati ad Antonio Massari, inviato del Fatto Quotidiano. Inoltre, è stato accusato di aver spedito un manoscritto di Piero Amara, sedicente membro dell’associazione segreta.
IL SISTEMA SCOPERTO DALLA PROCURA DI PERUGIA
Alla fine, Guadagno ha patteggiato, Massari è stato archiviato. Per la procura non c’è certezza che fosse a conoscenza della provenienza illecita delle carte che chiedeva e otteneva. Stando a quanto riportato dalla Verità, la Polizia postale in un’informativa di fine novembre 2022 spiegava che il funzionario aveva individuato molti altri beneficiari della sua generosità. Le indagini avrebbero accertato che gli accessi abusivi erano stati effettuati «al fine di divulgare in maniera sistematica ai giornalisti, o, comunque a terze persone, atti giudiziari, informative, atti di polizia giudiziaria correlati a procedimenti penali potenzialmente interessanti dal punto di vista mediatico». Il documento cita anche altre possibili fonti di raccolta di informazioni, oltre al Tiap (Trattamento informatizzato atti penali), ad esempio «anche tramite scatti fotografici all’interno di luoghi chiusi o l’ottenimento di atti provenienti da altre Procure».
Gli investigatori hanno parlato di «un sistema di illecita divulgazione, non appare per nulla occasionale, ma anzi è ben strutturato e le sue fondamenta risalgono indietro negli anni». Inoltre, è stato rimarcato un «rapporto, “amicale” con i vari addetti alle testate giornalistiche consente all’indagato di procedere con notevole disinvoltura nella gestione delle “notizie interessanti”, fornendo, così un “servizio” efficiente e affidabile». Infatti, lo scambio di informazioni riservate con i giornalisti risaliva almeno all’anno 2018. Nell’informativa vengono citati anche altri dieci giornalisti, ma non si sa se siano mai stati indagati. Tra questi c’è Sandro Ruotolo, attuale responsabile della comunicazione del Pd.
“PERCHE’ RUOTOLO CHIESE CARTE A GUADAGNO?”
La Verità ricorda anche che una delle poche prove certe di divulgazione dei documenti che riguardavano Palamara è rappresentata dall’invio di una mail da parte di Guadagno all’allora senatore del Pd Sandro Ruotolo della messaggistica di Palamara. Ma le conversazioni dell’ex pm non erano più coperte da segreto e La Verità le stava pubblicando a puntate. Ma erano nella disponibilità di poche persone: indagati, procura e giudice. «Resta da capire perché un politico dei dem abbia chiesto a Guadagno quelle carte. A chi servivano? Ai vertici del partito? A colleghi giornalisti di Ruotolo (che nel frattempo però era diventato responsabile comunicazione del Pd)? A magistrati in rapporti con l’ex cronista, interessati a sapere se in quelle chat fossero finiti pure loro?», si chiede Giacomo Amadori sulle colonne del quotidiano.
Il giornalista osserva che il collega diventato politico si è schierato nettamente a favore dei cronisti indagati a Perugia per accesso abusivo e rivelazione di segreto, assolvendo così anche se stesso: «Se il finanziere era la loro fonte e ha commesso un reato lo deciderà la magistratura perugina. Resta il fatto che le notizie pubblicate dai cronisti erano vere e quindi hanno fatto solo il loro dovere di informare l’opinione pubblica».