Alla fine, dopo anni di dolore devastante, di profonde riflessioni, di dialogo serrato con se stesso e con la moglie, ben documentati nelle newsletter che quasi a cadenza settimanale scrive rispondendo a domande dei fan che riguardano per lo più lo stesso dolore che ha vissuto lui, la perdita di un figlio, Nick Cave sembra arrivato a un approdo almeno in parte sereno, a essere riuscito a elaborare il terribile dolore.
Un dolore, quello che nessun genitore dovrebbe mai affrontare, sopravvivere alla morte di un figlio, cominciato nel 2015 quando Arthur cade da una scogliera sotto effetto di droghe, e rinnovatosi nel 2022 con la morte di un altro figlio, Jethro, affrontato in maniera coraggiosa come una sorta di Orfeo che entra negli inferi per riportare in vita la donna amata nei due album Skeleton Tree e Ghosteen.
Il singolo pubblicato in questi giorni, Wild God, annuncia un nuovo disco che uscirà il 30 agosto. Nelle note diffuse dalla sua casa discografica, Cave commenta: “Spero che l’album abbia sugli ascoltatori l’effetto che ha avuto su di me. Esplode dall’altoparlante e io ne vengo travolto. È un disco complicato, ma anche profondamente e gioiosamente contagioso. Non c’è mai un piano generale quando facciamo un disco. I dischi riflettono piuttosto lo stato emotivo degli autori e dei musicisti che li hanno suonati. Ascoltando questo, non so, sembra che siamo felici”. Non è una parola facile, felici, infatti lo stesso artista pone dei dubbi.
Un brano che dopo la poetica eterea, visionaria, ancestrale, liquida dell’ultimo disco, dove la parola dominava su una musicalità estremamente spartana, fa tornare in mente il Nick Cave degli anni 90 e primi Duemila con una classica ballata delle sue, a metà strada tra quelle di No more shall we part e Abbatoir Blues. Un rock blues dall’inizio serrato (per il modo in cui scandisce le parole e i versi sembra quasi il Dylan dei tempi di Slow train coming) e poi una esplosione corale e strumentale di grandissimo impatto, in chiave gospel, ma un gospel pauroso, quasi demoniaco, sulfureo. D’altro canto le contraddizioni e le sovrapposizioni sono sempre state la cifra artistica di Nick Cave, un artista che ama sprofondare nel caos e nella paura per poi sollevarsi in modo quasi angelico. Il brano riavvolge il nastro del tempo verso il Nick Cave più diretto e sanguigno, peccato però per la produzione che ha reso il pezzo troppo freddo e con effetti elettronici che rendono il tutto sicuramente moderno, ma poco appassionato, almeno fino all’apertura corale.
Un brano liricamente oscuro anch’esso, ed è curioso che si intitoli Wild God, selvaggio Dio, e narri di un “Dio selvaggio che sfrecciava nella sua memoria in cui era sepolto Era uno stupro e un saccheggio nel villaggio di pensionati Ma nella sua mente era un uomo di grande virtù e coraggio (…) Un Dio selvaggio alla ricerca di una ragazza lontana Che era fondamentalmente un miraggio ma tuttavia incombeva enorme” proprio quando, pochi giorni fa, nella sua newsletter Cave rispondeva a un fan che gli chiedeva perché Dio è sempre stato raffigurato come un uomo e non come una donna.
“Non c’è molto che posso dire al riguardo se non che, se Dio esiste, l’ultima cosa che qualcuno pensa veramente” dice l’artista australiano “è che Egli sia un vero uomo (anche se sarebbe perversamente figo se Dio fosse davvero un vecchio con la barba che vive nel cielo), ma Dio non è nemmeno una donna reale, o qualsiasi altra trasmutazione di questa idea così misteriosa, sconcertante e astratta. In quei momenti in cui parlo di Dio, non parlo di una forza “spirituale” vaga e aerea, parlo piuttosto del Dio della Bibbia. Nella Bibbia, Dio è rappresentato come un uomo: Dio, il Padre. Capisco che per alcuni questo getti istantaneamente la Bibbia, e tutto ciò che contiene, in un luogo paludoso e anacronistico, ma vale comunque la pena sottolineare che se stiamo cercando aspetti problematici riguardo al Dio della Bibbia, essere un uomo sarebbe il minimo. Considerando la sua propensione al genocidio, le donne dovrebbero sentirsi sollevate. Non rappresenta il loro genere. In effetti, è logico che Dio sia un uomo: darci un po’ di potere e spazzare via intere nazioni, per capriccio, è il tipo di cosa che noi ragazzi facciamo”. Un “Dio selvaggio” quindi.
Il Dio della canzone contiene tutte le domande, i desideri, le paure, i dubbi che l’umanità si è sempre posta sulla consistenza di Dio e Cave gioca alla sua maniera su questo, con immagini tenebrose da cui emerge però una preghiera, confusa e inquietante, ma una preghiera reale: “Si sta muovendo attraverso le fiamme dell’anarchia E si sta muovendo attraverso i venti della tirannia (…) Oh Signore, beh, se ti senti solo e se ti senti triste E se semplicemente non so cosa fare Abbassa il tuo spirito (…) Nuota al ritmo dell’inno, nuota alla preghiera E abbassa il tuo spirito Sono un Dio selvaggio, tesoro, sono un Dio selvaggio”.
In quella newsletter che citavamo c’è forse la chiave per capire il significato di questa nuova canzone: “Sono attratto dalla Bibbia per lo stesso motivo per cui sono attratto dalla chiesa: perché si trova al di fuori di questo momento temporale (o almeno dovrebbe) mentre riflette profondamente su di esso. Nella chiesa che frequento chiudiamo con l’Angelus che pone Maria, l’archetipo femminile della madre addolorata, al culmine emotivo della liturgia cristiana, qualcosa su cui dobbiamo riflettere mentre lasciamo la chiesa e andiamo avanti nella nostra giornata. (…) Dio è un’astrazione innominabile e incomprensibile, e lottiamo con l’inadeguatezza del nostro linguaggio per dare forma a questa astrazione. Maria, d’altro canto, è tanto reale e atrocemente toccante quanto qualsiasi concetto può esserlo, ed è per questo che per molti versi regna sovrana nell’immaginazione religiosa occidentale. Dio è un Lui perché la Bibbia ce lo dice, ma i vangeli stessi fluiscono con un’energia femminile sotterranea e incandescente, uno spirito di amore, sofferenza e desiderio, riconoscibile e quasi insopportabilmente vero, su cui proviamo i nostri dolori”.
Che cosa è Dio e che cosa ha a che fare con noi, sembra essere ormai il cuore del pensiero di Nick Cave. Ma soprattutto, se il disco manterrà fede a questo primo brano, Cave sembra essere tornato l’artista disturbante che avevamo sempre amato: “Wild God… non si scherza con questo disco. Quando colpisce, colpisce. Ti solleva. Ti smuove. Mi piace questo aspetto”.
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