L’export di prodotti caseari in Giappone è a rischio a causa di un cavillo nell’accordo di partenariato con l’Ue. A Tokyo si è chiusa proprio oggi la 49esima edizione di Foodex, con l’Italia presente con 187 aziende. Proprio i formaggi sono tra i comparti più redditizi con un export cresciuto del 15% nel 2023. In assenza di un intervento istituzionale, però, le esportazioni di Parmigiano Reggiano e Grana Padano potrebbero incontrare delle difficoltà dal 2026. Andiamo per grandi. Le forme di Grana e Parmigiano, secondo le regole dei rispettivi disciplinari di produzione, possono essere tagliate e confezionate solamente nella zona d’origine.
Il trasporto verso il Giappone dura però in media 30 giorni e i consumatori locali richiedono formati più piccoli rispetto ai nostri standard: per questo l’accordo di partenariato Ue-Giappone aveva previsto una deroga speciale che fino al 1 febbraio 2026 consente l’export di questi formaggi in forme intere, che vengono poi confezionate a Tokyo secondo i gusti dei giapponesi. Il tutto, ovviamente, sotto controllo dei consorzi di tutela. Le imprese casearie italiane entro il 2026 avrebbero dovuto adeguarsi ai canoni del mercato giapponese ma così non è stato, o ameno non ancora.
Imprese casearie, serve una proroga dall’UE per tutelare il mercato giapponese
L’adeguamento delle imprese casearie italiane entro il 2026 ai canoni del mercato giapponese non è ancora avvenuto. A spiegare le difficoltà è Paolo Zanetti, presidente di Assolatte. “Purtroppo le difficoltà degli ultimi tre anni, dalla pandemia alle guerre, hanno spesso ritardato la messa a regime dei nuovi impianti. Così abbiamo bisogno di più tempo: senza una proroga, il rischio di vedere sfumare decenni di investimenti si fa sempre più concreto”. Per i formaggi italiani, spiega Il Sole 24 Ore, il Giappone è la seconda destinazione fuori dall’UE più importante. Ogni anno sono 11mila le tonnellate di formaggi che partono dirette a Tokyo per un valore di oltre 100 milioni.
Se la proroga per l’export di formaggi in forme intere verso l’Asia non dovesse arrivare, si rischia che gli impianti di confezionamento sul territorio giapponese vengano utilizzati da chi cerca di produrre prodotti contraffatti come il “parmesan” statunitense o australiano. Cibi che di italiano non hanno nulla se non il sound. Se da Bruxelles non dovessero arrivare le risposte auspicate, sarebbe un gran problema per l’industria. “Per questo l’associazione, d’intesa con i consorzi di tutela, ha lanciato un Sos al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ricevendo in cambio la promessa di prendere di petto la situazione e chiedere all’Europa la risoluzione dello stallo”.