I titoli di debito pubblico, nell’area Ocse, sono passati da 40 migliaia di miliardi di dollari nel 2019 a 54 nel 2023 e arriveranno a 56 nel 2024. I dati si trovano in un report pubblicato dall’Ocse due giorni fa. La corsa del debito è partita dopo il crack di Lehman Brothers e ha preso un nuovo slancio con le politiche monetarie con cui si sono affrontati i danni dei lockdown. La corsa non accenna ad arrestarsi.
Gli Stati Uniti hanno chiuso il 2023 con un deficit al 6,3% rispetto a una media degli ultimi cinquant’anni del 3,7%. Nel 2023 la disoccupazione è stata ai minimi, il Pil è cresciuto, gli incrementi salariali sono stati robusti e gli Stati Uniti hanno vissuto una stagione di rimpatrio di produzioni industriali con pochi precedenti. I dati sul debito pubblico e sul deficit americano non passano inosservati. Valga per tutti il commento del Presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, “gli Stati Uniti sono su un sentiero fiscale insostenibile”.
Le emissioni di debito pubblico hanno “curato” lo scoppio della bolla del mercato immobiliare americano del 2008. L’inflazione è rimasta bassa fino al 2021 ed è poi esplosa a livelli che non si vedevano da due generazioni mentre, per coincidenza, si inondavano i mercati di liquidità e stimoli fiscali in dosi mai viste in tempo di pace. Facciamo un appunto. I calcoli con cui le banche centrali scompongono l’inflazione tra offerta e domanda si basano anche su assunzioni arbitrarie che possono ampliare una componente a discapito dell’altra.
Torniamo all’inflazione. Inflazione e titoli di debito pubblico per gli investitori sono argomenti inseparabili. Chi compra un titolo di stato a dieci anni oggi, americano o europeo, sta implicitamente facendo una scommessa sull’inflazione. Oggi il decennale americano rende il 4,1%; se l’inflazione fosse, in media, sopra questo livello l’acquisto di questi titoli comporterebbe una perdita in termini reali. A ottobre del 2021, appena prima che l’inflazione esplodesse, i titoli a dieci anni americani rendevano l’1,5% e quelli a due anni lo 0,3%. Non è stato un grande affare.
Quello che è successo negli ultimi tre decenni non è un buon indicatore di quello che succederà nei prossimi per una semplice ragione. Cina e in seconda battuta Giappone sono stati due motori di deflazione colossali che hanno controbilanciato gli effetti della stampa di moneta americana e, in senso lato, occidentale. Oggi i commerci con la Cina sono colpiti dalla geopolitica e dalla ristrutturazione delle catene di fornitura mentre persino il Giappone si appresta a vedere incrementi salariali al punto che per provare a far quadrare i conti decide di raddoppiare il numero di stranieri ammissibili ai visti per lavoratori qualificati.
Oggi si “spera” in una crisi perché deprimendo i consumi e i prezzi schiaccia l’inflazione, giustifica la fine dei rialzi dei tassi di interessi o la loro riduzione e tiene a galla i debiti pubblici. La questione però rimane irrisolta. Se si vedono questi tassi di crescita del debito pubblico e questi deficit quando l’economia tira e il mercato del lavoro tiene è lecito chiedersi cosa possa succedere ai deficit nella prossima crisi e in seconda battuta al livello di inflazione che si avrà nel prossimo ciclo di crescita. Si rischia a questo punto un equivoco. I titoli di debito pubblico non sono equamente distribuiti nella popolazione nemmeno in un Paese di grandi risparmiatori come l’Italia. Poi c’è il “grande capitale che vive, in buona parte, anche nei titoli di stato.
Se la stampa di moneta, i deficit fuori scala e la salita del debito sono la regola anche quando l’economia tira e il sistema non è in grado di reggere tassi che non sembrano particolarmente alti rispetto, per esempio, a quanto vissuto negli anni 70 le domande diventano inevitabili. Una su tutte è quale sia il livello “medio” dell’inflazione nei prossimi tre decenni al di là delle fluttuazioni temporanee.
La domanda è importante perché a seconda di come si risponde si potrebbe concludere che la bolla non si annida né nell’Intelligenza artificiale, né nell’immobiliare, ma nei titoli più innocui.
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