I dati della natalità sono ormai abbastanza famosi, com’è ormai di dominio pubblico il trend a cui si sta assistendo: nascono sempre meno bambini, l’età delle donne al primo figlio è sempre più alta, la popolazione invecchia, con conseguente aumento dei costi sanitari e sociali che divengono sempre più insostenibili dalla fascia di lavoratori (che a sua volta diminuisce sempre più). Nulla di nuovo.
Esattamente come niente di nuovo c’è dal fronte delle misure a supporto delle famiglie. Se da un lato il Governo ha agito tagliando alcune spese come il Reddito di cittadinanza, lasciandolo solo per determinate categorie e creando una nuova misura anti-povertà (l’assegno di inclusione – Adi), che nulla ha a che vedere con le politiche attive del lavoro, punto cruciale su cui il Rdc si è rivelato fallimentare, dall’altro le misure messe in campo sembrano non essere sufficienti, pur avendo il merito di tracciare la strada da seguire. È altrettanto vero che misure già criticate aspramente dall’ex Premier Draghi come il Superbonus hanno pesato sui bilanci dello Stato per circa 150 miliardi, più di quattro volte la cifra stimata, limitando drasticamente le politiche economiche degli esecutivi.
Nell’ultima Legge di bilancio sono stati aumentati i limiti massimi dei fringe benefit per chi ha figli (strumento che sicuramente non basta ma che allo stesso tempo rimane utile sia alle famiglie che alle imprese), c’è stato il rafforzamento del bonus asilo a partire dal secondo figlio e la decontribuzione per l’assunzione di madri (fino al 130%). Come già si ripete da tempo, alcune misure “spot” (per le quali ogni anno vanno trovate le risorse) sono state fatte e possono anche essere utili, ma manca ancora una vera politica per la famiglia, senza la quale quanto fatto rimarrebbe semplicemente un tentativo di arginare un fenomeno che invece va affrontato drasticamente, con l’obiettivo di invertirne la tendenza.
Anche l’aumento del bonus mamme è una misura che va letta nell’ottica di sostegno alle giovani famiglie che vogliono avere più figli: l’idea di fondo, infatti, non è tanto quella di premiare una situazione attuale, ma piuttosto quella di rendere economicamente meno pesante il secondo figlio (o addirittura più conveniente). Nella manovra il bonus previsto corrisponde all’esonero “della contribuzione previdenziale (9,19% della retribuzione), fino a un massimo di 3.000 euro annui da riparametrare su base mensile, per le lavoratrici che hanno almeno tre figli. Per il 2024, in via sperimentale, il bonus è attribuito anche in presenza di due figli” (Circolare Inps numero 27 del 31-01-2024).
Nonostante l’idea che fare più figli convenga anche a livello economico sia buona (e già avviene in altri Paesi come Francia e Ungheria), il bonus mamme presenta una serie di storture gravi che devono essere corrette: “Il taglio dei contributi non si traduce in un aumento della retribuzione netta di pari ammontare. La diminuzione della trattenuta previdenziale fa aumentare l’imponibile fiscale e di conseguenza l’Irpef e, con questo, l’Isee, l’indicatore usato per calcolare l’importo dell’assegno unico e di altre agevolazioni. Il rischio è quindi che, a fronte di un esonero parziale o totale dei contributi versati dalla lavoratrice, le famiglie vadano poi incontro a una riduzione di altre misure di sostegno come l’assegno unico” (cfr. Corriere della Sera).
Anche per quanto riguarda l’Assegno unico, creato dal Governo Draghi, che aveva accorpato una serie di bonus in un’unica misura (l’assegno appunto), si è verificato un grave cortocircuito: l’assegno dipende dal calcolo Isee e, una volta ricevuto, l’assegno stesso entra nel calcolo Isee successivo, andando quindi ad aumentare l’indice e diminuendo l’importo che si riceverà successivamente, generando uno svantaggio notevole ai percettori. Si tratta di un’altra stortura alla quale va posto rimedio il prima possibile.
In definitiva, è innegabile che alcune misure ci siano e che finalmente la denatalità sia entrata nel dibattito politico, ma tutto ciò potrebbe non bastare. Oltre ai bonus che sono stati continuamente proposti dagli ultimi Governi e che sono più immediati ma meno efficaci (e che tocca finanziare annualmente), servono politiche strutturate: perché la natalità si riprenda è importante pensare e lavorare con un orizzonte di medio-lungo periodo, avendo la coscienza che ci vorranno anni per risollevare i numeri.
Oltre all’augurio che il Governo riesca finalmente a introdurre, nell’arco di questa legislatura, il quoziente familiare, c’è un ulteriore tema che serve al Paese, ed è quello di depoliticizzare la questione familiare. La narrazione sembra sempre proporre la famiglia come un tema appartenente a una determinata categoria politica. In realtà non è così, anzi, è la più preziosa risorsa del Paese a livello economico e culturale. Essere con la famiglia non è una posizione discriminatoria, ma la posizione più razionale e conveniente che possa assumere uno Stato.
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