Egregio direttore,
a due anni dall’inizio della guerra in Ucraina, dopo aver oscillato tra dichiarazioni a favore o contro la resistenza dell’Ucraina, papa Francesco si è definitivamente espresso a favore di qualsiasi negoziato, purché si metta fine alla guerra. Pur dicendo che “il negoziato non è mai una resa” il papa ha detto, nella stessa intervista, “È più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore”.
Al che bisognerebbe chiedersi se non ci sia stato un conclave ultimamente e sia stato eletto un papa Francesco diverso da quello che, il 15 settembre 2022, in occasione del viaggio in Kazakistan, aveva dichiarato che “Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende ama”.
È ovvio che i pacifisti di ogni categoria, da quelli veri ai pacifinti, ai propagandisti putiniani esulteranno non avendo nella memoria le parole dell’altro papa Francesco, quello di diciotto mesi fa.
Al di là del tentativo di mediazione, che va sempre perseguito, viene da chiedere al papa se abbia visto la cartina illustrata da Dmitri Medvedev non più tardi di quattro giorni fa e che ritrae gli obiettivi del Cremlino: una Ucraina smembrata, senza più accesso al mare, con la Russia che si estende fino alla Transnistria perché secondo Medvedev “L’Ucraina è Russia”.
È questo che si vuole? Accettare che gli ucraini (russofoni ma del tutto russofobi) di Odessa possano essere svenduti sul tavolo delle trattative per permettere all’Occidente di avere la pace tanto desiderata? È questo che i cattolici di rito orientale, attualmente perseguitati nelle zone occupate dai russi, devono aspettarsi?
In realtà il ripudio totale di qualsiasi guerra da parte di papa Francesco segna una rivoluzione nel magistero della Chiesa, anche quello più recente.
Se guardiamo ai criteri del canone 2309 vediamo che i requisiti per una guerra giusta sono “che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune”.
Va da sé che se fossero stati seguiti questi criteri gran parte delle guerre in corso non sarebbero mai scoppiate.
Ma la vera rivoluzione di papa Francesco è culturale. Individuare la causa delle guerre nella vendita di armi fa dimenticare che in Ruanda, nel 1994, un milione di esseri umani di ogni sesso ed età sono stati macellati con asce e machete. La Chiesa combatte l’odio nel cuore dell’uomo, anche se questi ha in mano solo un bastone.
Definire la guerra di Gaza come un conflitto tra irresponsabili non rende per nulla l’idea dei crimini bestiali commessi da Hamas il 7 ottobre e di quelli commessi dall’esercito israeliano da allora ad oggi. Definire irresponsabili i terroristi di Hamas è come dare del “golosone” ad Hannibal Lecter.
Persino gli interventi umanitari non sono sfuggiti alla condanna del papa. “Sì alle volte sono umanitari, ma sono per coprire anche un senso di colpa”. Ben diversamente si era espresso San Giovanni Paolo II il 17 gennaio 1993 nel discorso al corpo diplomatico parlando della necessità di porre fina alla guerra in Bosnia. “Una volta che tutte le possibilità offerte dai negoziati diplomatici siano state messe in atto e che, nonostante questo, delle intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore, gli Stati non hanno più il ‘diritto all’indifferenza’. Sembra che il loro dovere sia proprio quello di disarmare l’aggressore”.
E infine, ricordare la negatività della guerra e i cimiteri della Normandia fa dimenticare che senza il sacrificio di quei giovani e di milioni di uomini e donne oggi saremmo tutti nazisti. E i partigiani cattolici, che erano almeno la metà del partigianato italiano? È stato così sbagliato il loro armarsi e combattere i nazifascisti? Ed è così errato il diritto degli ucraini di difendersi, indipendentemente da quello che può pensare l’Occidente?
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