chiesaIl Papa ha rimesso sul tavolo il tema della pace. Ufficialmente, da Kiev arriva una risposta seccamente negativa all’invito a sventolare bandiera bianca, metafora usata dal giornalista che ha intervistato Francesco per la svizzera RSI, e poi riutilizzata dallo stesso Pontefice, riaffermando la volontà di opporsi all’invasore russo. Proprio l’immagine in questione ha rischiato di nascondere il vero messaggio delle parole del Pontefice: nessuna resa incondizionata, ma la richiesta di considerare il negoziato come via da percorre prima che la situazione diventi peggiore, evitando altre morti e distruzioni.
Quali possono essere le risorse del Vaticano per favorire questo obiettivo? La Santa Sede, spiega Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, ha mantenuto i contatti con il patriarcato di Mosca, anche se non è più ben visto dalle altre chiese ortodosse, mentre in Ucraina, dove la chiesa autocefala è schierata a favore della guerra, il Papa vanta una solida amicizia con l’arcivescovo greco-cattolico Shevchuk e può contare sul nunzio apostolico Kulbokas, che ha saputo accreditarsi come persona degna di fiducia presso il governo ucraino.
Quanto a Zelensky, la linea sembra sempre quella di combattere contro il nemico russo. Negli ultimi tempi, però, si è insinuata l’idea che non è più il caso di tornare all’offensiva, ma di difendersi per impedire ai russi di prendere altro territorio. Il capo di stato maggiore Zaluzhny è stato allontanato per questo. Oltre al Vaticano, anche i cinesi si stanno muovendo diplomaticamente per mediare. Tentativi finora falliti, ma che rompono un confronto centrato esclusivamente sulle armi.
La richiesta del Papa di un negoziato per evitare ulteriori danni al popolo ucraino può avere un seguito? Ha le gambe per camminare?
Quello del Papa è stato un commento a una domanda in cui veniva usata la metafora della bandiera bianca. Non c’è una fase di trattativa: c’è il tentativo di tenere in caldo i contatti secondo i principi dell’Ostpolitik vaticana, stare vicini al cattivo per cercare di tenerlo buono. C’è un rapporto tra il Vaticano e il patriarcato di Mosca, che però è isolato; le altre chiese ortodosse non parlano con Kirill.
Le parole di Francesco, però, erano rivolte all’Ucraina, chi può raccoglierle?
In Ucraina, la chiesa ortodossa autocefala è schierata sulla guerra e anche i greco-cattolici sono sullo stesso piano. Questi ultimi non hanno una dipendenza diretta con il Vaticano, si amministrano da soli. C’è, però, un rapporto personale di Papa Francesco con l’arcivescovo maggiore di Kiev dei greco-cattolici, Svjatoslav Shevchuk, perché quest’ultimo è stato anche in Sudamerica e sono amici. Shevchuk si sente quasi tutti i giorni, se non con Francesco, con Parolin o con altri in Vaticano. Poi c’è il nunzio apostolico lituano a Kiev, monsignor Visvaldas Kulbokas, che è capace e bravo ed è molto apprezzato anche dal governo ucraino. Queste sono le personalità cattoliche che in Ucraina possono tenere i contatti.
Dunque ci sono canali bene aperti anche con l’Ucraina.
Sì, anche se in questi anni le attenzioni della Santa Sede erano principalmente verso la Russia. Dipende anche dal fatto che le dimensioni sono diverse: il patriarcato di Mosca è una realtà enorme, le chiese in Ucraina sono una realtà un po’ frammentata, molto minore.
Al di là dell’immagine della bandiera bianca, che ha dato adito a diverse interpretazioni, qual è il vero significato delle parole del Papa?
Non c’è un accenno del Papa, per esempio, a non fornire più armi all’Ucraina. Quello sarebbe alzare bandiera bianca: allora i russi potrebbero fare quello che vogliono. Le parole del Papa nella sostanza sono un’esortazione ad aprire una trattativa, a riprendere i contatti. Anche se in questo momento non si capisce ancora da dove si possa ripartire.
Alla fine, il Pontefice mette sul tavolo il tema della pace, proprio mentre si parla solo di truppe e armi. Qual è la sua preoccupazione?
Il Papa non entra direttamente nelle questioni tecniche, militari e politiche o territoriali, ma pone una questione umanitaria.
Francesco è l’unico che parla in questi termini. Ci sono altri che potrebbero seguirlo?
Ci sarebbe anche la Cina, che ha il suo piano di pace. Lo ha presentato l’anno scorso e poi lo ha ribadito. I rappresentanti cinesi stanno cercando di nuovo di destreggiarsi fra l’Ucraina e la Russia. Il Papa per la sua autorità morale, la Cina per la sua posizione internazionale, sono gli unici che hanno la possibilità di farsi ascoltare, anche se non c’è un contatto diretto fra di loro. Ci sono tentativi come quello che doveva portare a un summit per la pace in Svizzera, coinvolgendo Pechino, che intanto porta avanti le sue iniziative diplomatiche tentando di ritagliarsi un ruolo.
In Ucraina, al di là delle dichiarazioni ufficiali, inizia a diffondersi l’idea che si potrebbe negoziare? Anche Zelensky, viste le difficoltà sul campo di battaglia, potrebbe cominciare a pensarci o, nonostante tutto, vuole ancora battere militarmente la Russia?
L’opinione prevalente è quella di andare avanti e cercare di vincere la guerra. Però in modi diversi. L’episodio che dimostra tutto questo è l’allontanamento del capo di Stato maggiore Zaluzhny, che stava tendendo verso un armistizio: pensava che nella battaglia di Avdiivka fosse inutile cercare di difendere la città, vista la superiorità schiacciante dei russi. I fatti gli hanno dato ragione. Con Sirsky al comando dell’esercito, gli ucraini hanno ripreso un po’ di entusiasmo, soprattutto puntando alla flotta russa. Non c’è una guerra navale, perché l’Ucraina una vera flotta non ce l’ha, però usando i droni marini Kiev sta mettendo in difficoltà i russi. Controllare la Crimea è teoricamente una delle chiavi per poter proclamare la vittoria, vanno avanti su quel fronte.
I cambi al vertice delle forze armate ucraine voluti da Zelensky sono dovuti anche al fatto che gli ufficiali sostituiti non avrebbero disdegnato un negoziato?
Zaluzhny rappresentava la posizione non tanto di chi voleva negoziare, quanto di chi vorrebbe rimanere in una posizione di difesa. Non intendeva interrompere la guerra, ma passare dall’idea della controffensiva a quella, appunto, della difesa.
Neanche la gente pensa che sarebbe meglio negoziare?
No. Però la posizione prevalente ora è: “Fermiamoci qui, difendiamoci”. Questo per fare in modo che la Russia non vada oltre.
(Paolo Rossetti)
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