Secondo Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «è improbabile che la Banca centrale europea proceda a un taglio dei tassi di interesse già ad aprile. Attualmente, infatti, le premesse per una scelta che vada in questa direzione sono ancorate più al passato che rivolte al futuro».
Cosa intende dire?
Che è vero che negli ultimi mesi l’inflazione è scesa nell’Eurozona, ma la Bce deve prendere le sue decisioni guardando anche al contesto internazionale incerto, ai rischi nel Mar Rosso che possono portare a un rialzo dei prezzi delle materie prime, alla guerra in Ucraina che non sta andando benissimo. Non si può fare un scelta così importante guardando solo alle certezze che si hanno alle spalle trascurando le incognite non irrilevanti che si hanno davanti. Certo, per una volta alla Germania potrebbe fare persino comodo un taglio dei tassi, perché la sua economia sta andando piuttosto male, mentre quella italiana in qualche strano modo continua a tenere.
Quanto la nostra economia può ancora tenere viste le difficoltà tedesche e del resto d’Europa?
Non è semplice rispondere a questa domanda. Sicuramente incontreremo nuove difficoltà perché siamo tra i principali fornitori dell’industria tedesca, che sta andando male. Berlino, dove non si può escludere una crisi di governo, non sta facendo nulla di concreto, non presenta alcun piano di politica economica o di politica industriale. Di fatto mancano le basi per una politica importante nel Paese più importante d’Europa.
In Germania si sta aspettando l’esito delle elezioni europee prima di prendere decisioni politiche?
Sì. Semmai vincessero le destre, da Rassemblement National ad Alternative fur Deutschland, credo non si farà nulla. In ogni caso l’Ue deve affrontare un nodo cruciale per il suo futuro: decidere se emettere debito comune, magari acquistato dalla Bce, per finanziare investimenti europei. Se ci si muoverà in questa direzione, i tassi di interesse non saranno un problema come lo sono oggi.
La Cina prevede di crescere quest’anno del 5%. Questo potrà aiutare l’export europeo?
La Cina sta attraversando diverse crisi: c’è un’alta disoccupazione giovanile, l’edilizia è in forte crisi e si sono registrati fallimenti nel settore immobiliare. Tutto questo frena anche l’ambizione di Pechino di diventare centro di un’area finanziaria per tutto il cosiddetto Sud del mondo. La previsione di crescita del 5% mi sembra, quindi, dettata principalmente da motivi interni, dall’impossibilità di diffondere stime di valore inferiore. Penso, pertanto, che non potremo contare sul traino cinese.
Una certa difficoltà sembrano averla anche gli Usa: chiunque vinca le presidenziali, ci sarà da affrontare il problema di un debito pubblico in forte ascesa…
Sì, assolutamente. Difficile dire chi tra Trump e Biden vincerà. Tuttavia, sembra esserci un filo rosso che unisce i due candidati, pur nella loro estrema diversità: il tentativo di isolarsi dal resto del mondo. Abbiamo visto che Biden ha preso le distanze da Israele, Washington sta lasciando di fatto all’Ue il compito di sostenere l’Ucraina. E c’è anche un protezionismo che non passa da un blocco delle importazioni, ma dallo spostamento dei siti produttivi sul territorio americano, come si sta facendo tramite l’Ira.
All’Europa toccherà quindi inventarsi un nuovo modello economico visto che non ci sarà spazio per il suo export né a est, né a ovest.
È così. L’Europa dovrà anche capire fino a che punto vuole e può sostenere l’Ucraina. Credo che ormai la luna di miele con Zelensky sia finita e che in qualche modo il commercio con la Russia prosegua attraverso triangolazioni nonostante le sanzioni. Tra l’altro, i tedeschi senza energia russa non riescono ad andare avanti.
L’Europa tornerà a parlare con Mosca?
Vediamo prima come andranno le elezioni in Russia. Mi sembra che Putin tema una scarsa affluenza alle urne, cioè di non avere un forte consenso da parte della popolazione. Se otterrà un buon risultato, penso che la pressione su Zelensky per riaprire le trattative per una fine delle ostilità aumenterà. A questo proposito, a me sembra che le parole del Papa siano state fraintese: nelle vecchie guerre, quando una delle due parti voleva parlare con l’altra utilizzava un emissario disarmato che si faceva riconoscere dai nemici proprio perché sventolava una bandiera bianca. Credo che il Santo Padre si riferisse a questo e non allo sventolio della bandiera bianca da parte di una città assediata quale segno di resa.
Dunque, c’è un’importante attesa da qui all’autunno per i voti di Russia, Ue e Usa…
Sì. Tornando a quanto dicevo all’inizio, capisce bene che chi ha la responsabilità di guidare una Banca centrale deve avere in mente tutto questo quadro di attesa e incertezza, derivante sia dalla politica che dai conflitti in corso, se non vuole essere temerario. E non mi pare che chi siede ai vertici della Bce sia un temerario.
(Lorenzo Torrisi)
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