Uno studio ha dimostrato come la carne di pitone da allevamento sia un’alternativa sostenibile essendo la stessa “povera” e soprattutto contenente nutrienti e varietà di proteine in quantità maggiori rispetto ad altri animali sino ad ora studiati. Lo riporta il quotidiano Repubblica attraverso il proprio sito online, citando lo studio internazionale pubblicato su Scientific Reports, che ha analizzato i tassi di crescita dei pitoni in due allevamenti della Thailandia e del Vietnam. A realizzare la ricerca sono stati Daniel Natusch e colleghi della Macquarie University di Sydney, in Australia, che hanno preso in esame ben 4.601 pitoni reticolari e birmani, scoprendo come gli stessi siano cresciuti in maniera molto rapida nell’arco di 12 mesi, senza aver bisogno di essere nutriti con frequenza, come invece avviene per altri animali in allevamento.
I rettili sono stati alimentati con una varietà di proteine locali, fra cui roditori selvatici e farina di pesce, inoltre sono stati misurati e pesati con regolarità per un periodo di 12 mesi prima di essere abbattuti. Al termine della ricerca gli autori hanno scoperto che entrambe le specie di pitone crescevano in maniera molto rapida, fino a 46 grammi ogni giorno, con le femmine che avevano tassi di crescita più elevati rispetto ai maschi.
CARNE DI PITONE: CIBO CONSUMATO IN ASIA, MERCATO DI NICCHIA
Nel cibarli i ricercatori hanno sperimentato diverse combinazioni di proteine fra cui pollo, scarti del maiale e i suddetti roditori e farina di pesce, su un gruppo formato da 58 pitoni birmani dell’allevamento di Ho Chi Minh, scoprendo che per ogni 4,1 grammi di cibo consumato si poteva ottenere un grammo di carne di pitone. Si tratta di un rapporto di conversione delle proteine ritenuto più efficiente di altri animali.
C’è inoltre da dire che il 61 per cento dei pitoni birmani ha digiunato per un periodo compreso fra 20 e 127 giorni, perdendo comunque pochissima massa corporea. Per gli autori questi risultati indicano che un allevamento commerciale di pitoni potrebbe rappresentare un’opzione di produzione alimentare fattibile e sostenibile, che vada ad integrare gli allevamenti già esistenti. In alcuni Paesi asiatici si sta iniziando a consumare animali a sangue freddo come appunto il serpente, ma l’industria è decisamente di nicchia.