Nessuno sa se il ponte sullo stretto si farà mai, ma oggi rappresenta un esempio della divisione che caratterizza l’azione politica nel nostro Paese, ovvero il no (a prescindere) alla proposta dell’altro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: non abbiamo il ponte e non abbiamo in programma di migliorare il sistema dei trasporti in Sicilia. Le riforme non sono il ponte, ma sono indispensabili e non si fanno perché la politica, ma anche il dibattito culturale, non riescono a superare la contrapposizione ideologica.
Le riforme per definizione dovrebbero esenti dallo scontro ideologico e rappresentare la migliore sintesi possibile del confronto politico. In tema di fisco, le azioni del Governo sono più di una e vengono declinate con la volontà di dare aiuto al ceto medio. La critica all’azione dell’Esecutivo trova la sintesi nell’affermazione che si tratta solo di un aiuto agli evasori. Questo approccio è mosso, senza aver e il coraggio di dirlo, dall’idea secondo cui il popolo delle partite Iva si compone di evasori per definizione.
La riforma della riscossione è stata attaccata perché additata come un regalo a chi non paga le tasse. La critica è sterile perché chi la muove dovrebbe spiegare cos’è stato fatto affinché il magazzino fiscale non diventasse un monstre non più esigibile. Gli incassi degli ultimi anni indicati come un proprio record dal Governo vengono criticati dall’opposizione, la quale afferma che senza rottamazione i dati della riscossione sono stabili. In questo confronto emerge a pieno il contrasto ideologico.
Guardando, invece, più nel dettaglio, si può sostenere che la riforma della riscossione e quella del sistema sanzionatorio vanno nella direzione di aiutare chi si è trovato in difficoltà e ha voglia di recuperare. Chi contrasta questo approccio ha senza dubbio le sue ragioni quando sostiene che la dilazione indiscriminata pone un serio problema alla tenuta dei conti pubblici. Una dilazione lunga, infatti, potrebbe non garantire gli incassi nel lungo periodo. Non è da escludere che in alcuni casi ciò potrà accadere, ma prima di dire no andrebbe proposto un correttivo affinché ciò non avvenga. Un approccio possibile in questa direzione è quello di imporre un maggiore ricorso al sistema del reverse charge tra imprese in modo da incidere sull’evasione Iva e una ritenuta da operare sul fatturato realizzato da chi aderisce a piani di rateizzo da destinare alla riscossione.
In sintesi, occorrerebbe seguire i consigli dell’Ocse secondo cui si deve prevenire la formazione del debito fiscale (attuabile, come detto, attraverso un maggior ricorso al reverse charge e a ritenute sul fatturato), rendere efficiente la riscossione e gestire il magazzino prevedendo anche regole di cancellazione dei debiti inesigibili. Questo approccio viene criticato individuando nell’ultimo punto il solo e unico obiettivo del Governo.
Bene, se così fosse occorre che la critica si renda disponibile a sostenere la riforma agendo anche sugli altri punti (evitare la formazione del debito e migliorare la riscossione) indicati dall’Ocse. Invece non si agisce in questo modo e si preferisce un approccio populista che esalta una parte, il lavoro dipendente, e denigra il popolo delle partite Iva (evasori per definizione). Si chiede a più voce di aumentare l’organico dell’Agenzia delle Entrate, ma non si fa nulla per affrontare le criticità vere, come la mancanza di responsabilità di chi pone in essere comportamenti che vanno oltre il consentito.
Il banco di prova per la riforma fiscale in itinere è rappresentato dal concordato preventivo (ancora senza regole) e dalla riduzione delle aliquote. In entrambi i casi si vogliono in qualche modo mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori sia dipendenti che autonomi. L’auspicio è che mettendo più soldi nelle tasche degli italiani, il Pil possa crescere grazie alla maggiore spesa che faranno con questi maggiori redditi a disposizione. È un approccio che tende a riconoscere al lavoro autonomo un premio per il rischio, le incertezze e la mancanza di tutele simili a quelle dei lavori dipendenti. L’alternativa sarebbe simile a quanto accaduto durante il Covid, con le decine di bonus erogati a pioggia con risorse a debito. Il risultato dell’approccio attuale tuttavia deve essere gestito con attenzione, altrimenti il rischio è che al minor gettito si accompagni una riduzione dei servizi erogati al cittadino, sanità e istruzione in primis.
Dobbiamo sperare che la stagione del Superbonus abbia insegnato a fare i conti. Dobbiamo altresì sperare che nasca veramente un campo largo per le riforme che altrimenti rimarranno sempre delle incompiute, con un danno per il nostro Paese che rischia di diventare irreparabile visti i cambiamenti in atto a livello di economia globale.
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