L’economista Daniel Gros ha parlato, sulle pagine della Stampa, delle recenti dichiarazioni di Charles Michel, che recentemente (sempre alla Stampa) in un’intervista ha invitato l’Europa a prepararsi ad un’economia di guerra. Il conflitto con la Russia non sembra più essere solo un’ipotesi, ed anche se lo fosse si teme che potrebbe concretizzarsi in realtà, ragione per cui l’Ue deve farsi trovare pronta.
Un pensiero che Gros condivide, anche se pensa che parlare di economia di guerra sia leggermente eccessivo, considerando che si tratta di “un aumento della spesa per la difesa verso e oltre il 2% del Pil”, ben inferiore alle spese che gli stati affrontavano negli anni ’80. Indipendentemente da questo, però, secondo l’economista è innegabile che “l’Ue si debba preparare alla guerra, visto che un conflitto è già in corso“. Torneando alla questione della sedicente economia di guerra, Gros ritiene che “dal punto di vista economico ci sarebbe un impatto modesto. Si tratterebbe di fare uno sforzo che è equivalente a un decimo di quello che fa Mosca” e non vede all’orizzonte il rischio di “conseguenze significative. Si tratterebbe”, spiega, “di alzare i deficit o le tasse, ma in quantità minima“.
Daniel Gros: “L’industria bellica europea deve collaborare”
Per l’Ue, più che un’economia di guerra propriamente intesa, secondo Gros, “occorre un cambiamento psicologico, prima che sociale. Ci siamo abituati alla pace e al fatto che non ci fosse alcuna minaccia”, ma deve essere chiaro che “adesso questo pericolo esiste”. Ed oltre a minacciare l’Europa, minaccia anche “la sicurezza e la prosperità della Germania, che in caso di vittoria di Putin sarebbero messe in discussione”.
L’Italia, in questo contesto, secondo Gros, “avrebbe la capacità di fare molto di più per sostenere l’Ucraina e la difesa europea“, ma è anche vero che “l’equilibrio politico, e anche mentale, è tale che gli sforzi accessori per queste due voci sarebbero in deficit”, rendendo la situazione “non congeniale”. Il problema fondamentale dell’Ue, ragiona ancora l’analista, è che “ogni Paese vuole mantenere il controllo sulle ‘sue’ industrie“, senza puntare all’espansione e senza “volontà di aumentare la specializzazione tecnologica”. Differentemente, conclude Gros, “se si condividessero le tecnologie su scala europea, ci sarebbe un vantaggio diffuso”.