Scrive Stefano Folli su Repubblica che del pensiero di Luigi Einaudi, primo presidente eletto della Repubblica del quale ci accingiamo a festeggiare i 150 anni dalla nascita, ciascuno “ne prende un pezzo alla bisogna, come un frutto dall’albero”. Questa rubrica non farà eccezione e coglierà tra i tanti frutti disponibili, tutti succosi, quello che ha il sapore dell’intrapresa.
Eccone l’assaggio: “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno. Il gusto, l’orgoglio, di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie ed investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente ottenere con altri impieghi”.
Il passaggio, molto famoso, merita di essere trascritto per intero perché coglie come meglio non si potrebbe lo spirito libero e un po’ folle che accompagna gli alfieri dell’innovazione e della creazione di ricchezza; quella ricchezza che non va demonizzata ma acclamata perché deriva dalla passione e dall’ingegno e dovrebbe servire al benessere di tutti. E che pure, invece, è spesso contrastata.
Ed è incredibile notare come quella consapevolezza non sia stata sufficiente a modificare il sentimento antindustriale che alberga nella coscienza di una nazione che a dispetto dei lacci che ne rendono impacciati i movimenti è diventata la seconda manifattura d’Europa mantenendosi tra le prime del mondo. Un miracolo, questo sì, del quale non c’è spiegazione razionale.
Tra le tante classifiche disponibili che misurano la libertà economica, appare particolarmente dettagliata quella della Heritage Foundation che si basa su molti parametri come l’efficacia del sistema giudiziario, la tutela dei diritti di proprietà, l’efficienza della Pubblica amministrazione, la qualità del sistema formativo, l’integrità dei governi e molti altri. Quale posto spetta all’Italia?
“L’Italia si colloca tra le economie moderatamente libere – si legge -, ma si trova a un passo dal diventare un’economia per lo più non libera”. È bene specificare che queste valutazioni risalgono al 2022, sono il risultato di una lunga stratificazione di norme e comportamenti e non possono quindi essere politicamente spese come effetto di questo o quel Governo in particolare.
Più nel dettaglio, l’Italia si trova al posto numero 69 sui 176 riportati in tabella. Prima del Bahrain e subito dopo il Vanuatu, poco conosciuto arcipelago dell’Oceano Pacifico. In Europa è nelle posizioni di coda, terzultima o penultima a seconda di come si leggono alcuni dati. In ogni caso lontana dai partner con i quali intrattiene rapporti di amicizia, scambio e collaborazione.
La Germania, per esempio, si colloca al 14esimo posto. Il Canada al 16esimo. Gli Stati Uniti al 25esimo. La Gran Bretagna al 28esimo. Il Giappone al 31esimo. La Francia al 57esimo. Tutti più in alto, tra il settimo e il 13 posto, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Danimarca, la Svezia, la Finlandia, la Norvegia, l’Australia. Dietro di noi, in Europa, solo la Grecia che arriva 107esima.
E in cima alla lista? Singapore, Svizzera, Irlanda, Taiwan e Nuova Zelanda con Hong Kong che esce dal gruppo di testa dopo essere passata sotto l’egida della Cina (154esima), dimostrando come sia facile scivolare verso il basso quando si corrompe “il grado di autonomia con cui le persone e le imprese possono prendere decisioni economiche”. C’è materia per riflettere e magari anche per agire.
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