La costruzione di nuove identità nazionali è una caratteristica comune della vita politica dell’Europa orientale e dell’ex Unione Sovietica; tuttavia, la rilevanza della politica identitaria è particolarmente profonda nel caso moldavo. La politica linguistica del “moldavo” è stata sviluppata e promossa sotto lo stretto controllo di Mosca per sottolineare la distinta identità nazionale rispetto alla Romania. In merito, molti accademici, tra cui Carlo Tagliavini e Serghei Kapița, hanno sempre contestato questa posizione, sostenendo che la lingua parlata nella Repubblica di Moldova è, in realtà, una forma regionale della lingua romena, con origini e caratteristiche comuni.
Addirittura, il linguista Eugen Coșeriu ha sostenuto che “promuovere in qualsiasi modo una lingua moldava, diversa dal romeno, è, da un punto di vista strettamente linguistico, o un errore ingenuo o una frode scientifica. Da un punto di vista storico e pratico è un’assurdità, un’utopia, e da un punto di vista politico è un annullamento dell’identità etnica e culturale di un popolo e quindi un atto di genocidio etno-culturale”.
A differenza degli altri costituenti dell’Unione Sovietica, la Moldova era l’unica repubblica la cui popolazione maggioritaria era culturalmente e linguisticamente legata ad un altro Stato, una situazione che ha proposto un confronto diretto tra il Regno romeno e l’Impero russo. Per questo motivo, i moldavi sono stati a lungo protagonisti di intensi progetti di costruzione nazionale, ideati o per convincerli della loro separazione dai romeni o, quando erano sotto il dominio romeno tra le due guerre mondiali, per convincerli che la loro separazione fosse una costruzione sociale sovietica.
Nel 1812, quando la Bessarabia divenne parte dell’Impero russo in seguito al Trattato di Bucarest, l’uso del termine “moldavo” per denotare la lingua parlata nella regione non era ancora così chiaramente definito come nei periodi successivi. L’etichettatura della lingua parlata era influenzata dalle politiche linguistiche delle autorità russe e l’identità regionale degli abitanti. Nel 1826 venne proibito l’uso della lingua moldava nell’amministrazione, nella liturgia ecclesiastica e nell’istruzione. L’assimilazione imperiale trasformò anche l’élite autoctona. Nel 1867 non rimase alcuna scuola di lingua moldava nella provincia e il bilinguismo fu abolito. Sebbene le politiche imperiali non abbiano russificato completamente la Bessarabia, hanno relegato il moldavo alla popolazione rurale, dove il 95% della comunità etnica moldava era composta da contadini, prevalentemente analfabeti, difatti aveva una connotazione di inferiorità o di “lingua contadina” rispetto alla lingua russa. Questa percezione ha contribuito all’emarginazione e alla discriminazione dei parlanti moldavi rispetto ai parlanti di russo o a coloro che hanno adottato più facilmente la cultura russa. Da quel momento il russo è rimasta la lingua di comunicazione interetnica.
Tra il 1924 e il 1956, la Moldova sovietica (MASSR e MSSR) fu soggetta a sette “riforme” linguistiche. Inizialmente, i propagandisti sovietici sottolineavano gli aspetti politici piuttosto che etnici della questione della Bessarabia, perfino ammettendo che i popoli moldavo e romeno formassero un unico gruppo etnico. Tuttavia, furono presto intraprese misure opposte, in cui era importante dimostrare che la popolazione della Moldova costituisse una combinazione di origine romanza e slava che la rendeva distinta dalla vicina Romania, e la differenza principale tra le due identità è stata la creazione di una lingua letteraria moldava, in contrapposizione al romeno “francesizzato” impiegato ad ovest del Prut. I sostenitori pan-romeni furono perseguitati e privati del diritto di voto, con la conseguente perdita di benefici sociali come il razionamento, ed etichettati come “nemici del popolo”.
Oltre al considerevole elemento di russificazione, fu incoraggiata l’immigrazione russa e ucraina per modificare l’equilibrio demografico della regione moldava. Le politiche di Mosca nei confronti della Moldova erano contraddittorie: da un lato, incoraggiava il nazionalismo moldavo per recidere i legami linguistici e culturali con la Romania, dall’altro lato ha cercato di limitare lo sviluppo di una coscienza nazionale che potesse rivoltarsi contro il centro sovietico. Anche la campagna linguistica è stata irregolare: ad esempio nel 1929 fu prodotta una grammatica moldava, in caratteri cirillici e basata sulla lingua parlata dai contadini della Bessarabia e della Transnistria, dal linguista Leonid Madan, per poi nel 1932 introdurre l’alfabeto latino. Questa fase di latinizzazione durò fino al 1938, anno in cui fu introdotto nuovamente l’alfabeto cirillico e dove venivano sottolineati gli elementi slavi della storia e della cultura moldava.
La questione della Bessarabia riemerse nel dibattito pubblico nel 1964. In particolare, i romeni pubblicarono opere di Marx ed Engels in cui essi ritenevano la conquista russa della Bessarabia nel 1812 un’ingiustizia. Negli anni 70 gli storici romeni discutevano la natura romena delle terre tra i fiumi Prut e Dniestr con tanta veemenza che nel 1976 si insinuò un intervento sovietico sul Prut.
Di conseguenza, le autorità sovietiche rinnovarono il loro accento sulla presunta “indipendenza” del moldavo dalla lingua romena. Nella Dichiarazione di Indipendenza del 1991 il romeno è stato decretato come lingua di Stato, mentre nella Costituzione del 1994 è stata modificata in moldavo. Nello stesso anno, fu adottato l’inno Limba noastră (la nostra lingua), il cui testo è di Alexei Mateevic, un poeta moldavo ma con un forte senso di unità con il popolo romeno. Nel 1917, addirittura affermò: “Dobbiamo sapere che siamo romeni. Dobbiamo dirlo ai nostri figli e a tutti i non illuminati. Illuminiamoli tutti con la luce giusta. Non abbiamo due lingue e due letterature, ma una sola, la stessa che c’è al di là del Prut”.
Nel 2023 il Parlamento moldavo, con una maggioranza di 58 su 101 voti, ha sostituito la “lingua moldava” (oppure lingua ufficiale o di Stato) con la lingua romena, sostenendo di non aver approvato una legge ordinaria di modifica della Costituzione, ma di aver eseguito una procedura tecnica per conformarsi ad una sentenza del 2013 della Corte costituzionale. Negli ultimi anni si è assistito ad una tendenza verso una maggiore riconciliazione tra la Repubblica di Moldova e quella della Romania, tuttavia, alcuni segmenti della popolazione preferiscono utilizzare ancora il termine “lingua moldava” per ragioni identitarie, e a livello politico è adoperato al fine di ottenere dividendi politici. Pertanto, la questione linguistica rimane ancora oggetto di dibattito, riflettendo la complessità dell’identità nazionale e culturale del Paese. In merito, Marian Lupu, ex presidente ad interim, ha affermato: “Da un punto di vista scientifico, parlo la lingua romena, da un punto di vista politico, il moldavo”.
La Transnistria non ha mai riconosciuto la lingua romena, ma promuove l’uso del termine “lingua moldava” scritta in cirillico. Inoltre, sono pervenute segnalazioni di discriminazione e abusi verso le scuole che utilizzavano il romeno come lingua di insegnamento. Il dibattito ideologico e (geo)politico intorno al tema linguistico e identitario è strettamente legato ai progetti di nazionalizzazione di cui la Bessarabia, oggi Repubblica di Moldova, ha fatto parte in diversi periodi degli ultimi due secoli. Tutto ciò avvenne tra una popolazione che, ancor prima dell’Unione Sovietica, si definiva “moldava”. Questo confronto continuo ha causato posizioni ambivalenti su una serie di importanti questioni di politica estera, mantenendo il Paese in un perenne bivio geopolitico, e mettendo in secondo piano problemi reali che necessitano cambiamenti immediati, legati alla corruzione, allo sviluppo economico e alla migrazione di massa.
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