“È stato imbarazzante leggere le motivazioni della sentenza Nada Cella. Nessuno ha mai voluto un colpevole a tutti costi“. Così Antonella Delfino Pesce, criminologa che aveva fatto riaprire il caso della giovane segretaria uccisa nel 1996 a Chiavari, commenta le motivazioni del proscioglimento di Annalucia Cecere (la donna che per la Procura avrebbe commesso l’omicidio spinta da un movente di gelosia e dall’intenzione di prendere il posto di lavoro di Nada Cella), di Marco Soracco, commercialista presso cui la vittima lavorava e nel cui studio fu assassinata, e dell’anziana madre di lui, Marisa Bacchioni. Quest’ultima era stata indagata con il figlio per false dichiarazioni al pm e favoreggiamento, ma per il gup di Genova, che per tutti e tre ha disposto il non luogo a procedere, non c’erano i presupposti per aprire un processo. Su Cecere, in particolare, il giudice dell’udienza preliminare avrebbe rilevato l’assenza di indizi sottolineando come, intorno alla sua posizione, si sarebbe addensato un castello di sospetti privi di riscontri e quindi incapaci di giustificare l’avvio di un dibattimento nell’ottica di “una ragionevole previsione di condanna come previsto dalla riforma Cartabia“.
La criminologa Antonella Delfino Pesce ha criticato aspramente le conclusioni del gup, il quale avrebbe comunque evidenziato che “emerge dagli atti con solare evidenza il tentativo di depistaggio delle indagini” da parte di Soracco e della madre e che il commercialista sarebbe stato presente sulla scena al momento dell’omicidio, affidando ai social uno sfogo a margine del deposito delle motivazioni con cui, di fatto, il caso Nada Cella si chiude senza arrivare ad un contraddittorio in tribunale.
Nada Cella, la criminologa Antonella Delfino Pesce: “Gli indagati, fino ad oggi, si sono presi beffe di tutti”
Nel suo commento sulle motivazioni del proscioglimento di Cecere, Soracco e Bacchioni, Antonella Delfino Pesce ha puntato il dito contro quelle che ritiene criticità sostanziali tra la posizione della Procura, che aveva chiesto il rinvio a giudizio, e le conclusioni alle quali è giunto il gup di Genova. La Procura ha deciso di fare ricorso contro il non luogo a procedere. Secondo il pm Gabriella Dotto, riporta primocanale.it, il processo deve essere celebrato.
“Come si può essere orgogliosi di vivere in un Paese garantista – ha scritto la criminologa su Facebook – se a mancare sono poi le dovute garanzie alle vittime? La Cartabia può essere, forse, un cerotto utile per una piccola ferita ma di certo non può essere la cura per un tumore lungo 28 anni e mai curato. Come si possono addurre colpe gravissime all’indagato e non prendersi poi la responsabilità di un processo? Come si può prosciogliere l’indagata sulla base di un Dna cercato e non trovato dopo tre decenni? Come si può presumere che l’alibi sia stato verificato nel 1996 se nulla è agli atti? È stato imbarazzante leggere le motivazioni della sentenza Nada Cella – prosegue –. Nessuno ha mai voluto un colpevole a tutti costi. Piuttosto si è sempre cercato di arrivare ad un contraddittorio che sarebbe stata l’occasione per mettere a confronto tra loro i 3 indagati che, fino ad oggi, si sono presi beffe di tutti, in primis della magistratura, dimostrando che si può omettere, mentire e rifiutarsi di dare spiegazioni senza inciampare in alcun capo di imputazione. Sarebbe giusto che qualcuno si prendesse per una volta la responsabilità di avvertire i familiari delle vittime di non aspettare più, di farsene una ragione perché per loro lo Stato non ci sarà”.