Nelle settimane scorse sui quotidiani nazionali italiani sono comparsi diversi articoli con titoli catastrofisti sul giovane mercato delle auto elettriche: “Più nessuno vuole le auto elettriche”, “L’industria dell’automobile torna al termico”, “La profonda crisi delle auto elettriche”…
In realtà, le vendite delle cosiddette BEV (Battery Electric Vehicle) godono di ottima salute nei principali Paesi europei: nel bimestre gennaio-febbraio 2024 le immatricolazioni di auto elettriche in Francia sono cresciute del 34%; in UK del 21% a febbraio; in Spagna del 15%… La Germania dopo uno scoppiettante 2023 segna un calo dell’1% nei primi due mesi dell’anno, ma intanto le ibride plug-in crescono del 40%. E poi ci sono Paesi come la Norvegia che nel bimestre gennaio-febbraio segna un sonoro +53% di immatricolazioni BEV, la Danimarca a +51%, il Belgio a +71%, l’Olanda a +43%…
Curioso che in questi ultimi quattro Paesi si vendano più auto elettriche che in Italia. Da noi lo stallo delle vendite (dopo un 2023 a +35%) è legato soprattutto allo sciagurato malcostume della politica nostrana di annunciare in largo anticipo l’arrivo di incentivi, generando così l’unico effetto di bloccare le vendite nell’attesa dei benefici economici promessi (come ho avuto modo di spiegare in un precedente articolo).
Ma tornando al catastrofismo con cui una parte della stampa nazionale affronta il tema della mobilità elettrica, a metà marzo è tornato in circolazione sui social un grottesco articolo diffuso un anno fa da una prestigiosa testata nazionale dove si sosteneva che per andare da Milano a Napoli si spenderebbe di più con l’auto elettrica che con quella endotermica. A chi conosce minimamente l’argomento salta subito agli occhi che il contenuto non regge: i calcoli sono completamente sbagliati e i costi di ricarica gonfiati a dismisura.
Ma costa sta succedendo? A cosa è dovuto il proliferare di fake news e svarioni che toccano anche testate autorevoli e professionisti di grande serietà?
Proviamo a contestualizzarli a partire dal grande tema della “transizione energetica”, un fenomeno che sta accelerando la sua avanzata lungo i due binari dell’elettrificazione dei consumi e dello spostamento della produzione di energia elettrica dal fossile alle rinnovabili. Le principali locomotive di questi due fenomeni sono rispettivamente la mobilità elettrica e il fotovoltaico. Le auto elettriche sposteranno progressivamente i consumi dalla benzina e dal gasolio al vettore elettrico e il fotovoltaico (assieme alle altri rinnovabili, ma con un evidente boost in più) andrà ad accrescere la quota green sulla produzione nazionale di energia elettrica.
Curioso che proprio questi due elementi (mobilità elettrica e fotovoltaico) siano da tempo al centro di una campagna di discredito che a volte raggiunge effetti grotteschi. Le fake news abbondano e attecchiscono soprattutto laddove il terreno è stato preparato con cura da anni e anni di false informazioni. Se così non fosse, come spiegare il fatto che anche persone ragionevoli e dotate di senno si fanno abbindolare da notizie come le auto elettriche bloccate per il freddo negli Stati Uniti o il rischio che il fotovoltaico a terra distrugga le eccellenze agroalimentari e gastronomiche italiane (quest’ultima passata in prima serata in TV a metà marzo)?
Superficialità del giornalismo nostrano? No, non solo. La transizione energetica rischia di modificare i rapporti di forza nel settore dell’energia. E le big oil, che per tanti decenni hanno spadroneggiato nel mercato globale, non si sono certo rassegnate ad assistere al ridimensionamento del proprio ruolo. E per evitare questo rischio mettono in campo tutte le proprie risorse.
La prestigiosa testata inglese The Guardian ha infatti realizzato un’approfondita inchiesta dal titolo “Oil industry has sought to block state backing for green tech since 1960s” da cui emerge come già dagli anni ’60 l’industria petrolifera abbia esercitato pressioni sui legislatori per minimizzare gli effetti delle proprie attività sull’ambiente e per ostacolare lo sviluppo delle tecnologie green. Per circa mezzo secolo ha fatto in modo che i temi legati al risparmio energetico e alle energie rinnovabili restassero in un cono d’ombra, ostacolando i tentativi di legiferare a loro favore. E non si tratta di qualcosa che si perde nel passato: di questa volontà prevaricatrice abbiamo avuto conferma all’ultima conferenza sui cambiamenti climatici: alla Cop28, che si è tenuta a Dubai nella prima metà dello scorso dicembre, i produttori di energia da fonti fossili avevano accreditato 2.456 lobbisti, un numero mostruoso, quadruplicato rispetto all’edizione precedente, e comunque certamente minaccioso…
L’inchiesta di The Guardian cita alcune tappe di queste attività di intralcio o addirittura di sabotaggio, arrivando anche a calcolare l’enorme quantità di sussidi pubblici ricevuti dai combustibili fossili, che restano normalmente sotto traccia.
Niente di nuovo, ogni grande cambiamento mette in discussione le posizioni di rendita del passato e suscita quindi comprensibili reazioni. Reazioni che si sono dimostrate molto abili nel sapere utilizzare la leva dell’informazione con un profluvio di false notizie (talvolta ridicole) che non attecchiscono solo sui social media, ma arrivano anche a contagiare, come già detto, testate autorevoli e seri professionisti. E diventano opinione pubblica. In certe giornate lo slalom tra notizie prive di fondamento e cattiva informazione diventa davvero impegnativo.
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