Tempo di adozioni nelle scuole: la scelta dei libri di testo è un passaggio qualificante della professione docente, perché il lavoro sarà facilitato se il testo è scelto bene, e lo studente potrà trovarsi in casa un libro che gli dà qualcosa (e non un fardello di cui liberarsi appena terminato l’uso). Nella mia giovinezza alcuni manuali sono stati in grado di spalancarmi orizzonti vasti, come il mitico Lana-Fellin, un’antologia della letteratura latina in cui venivano accostati testi dell’antichità a testi della storia della letteratura europea di tutti i secoli, con grande ampliamento delle mie vedute e della possibilità di godere appieno dei “giganti” sulle cui spalle altri si appoggiavano. Anche da insegnante fino ad una certa epoca ho incontrato testi stimolanti, che hanno dato molto al lavoro comune in classe.
Oggi la situazione non garantisce questi incontri per affinità elettive. Il manuale coinvolge non solo i docenti che lo usano insieme agli studenti, ma anche le famiglie, che pagano i libri, e gli editori, che sono imprese commerciali che devono “stare in piedi” e vendere i prodotti, specialmente dopo la rivoluzione digitale che ha richiesto massicci investimenti non ripagati da adeguati ritorni.
Le esigenze di tutti questi soggetti spesso confliggono. Per esempio, l’editore per non rischiare perdite non ha convenienza a mettere in commercio prodotti che si discostano dalla tradizione, che pure porterebbero novità a scuola; i genitori se hanno più figli che frequentano lo stesso indirizzo non hanno convenienza a comprare manuali diversi, anche se fossero più aggiornati; gli insegnanti, anche quando sentono una certa inadeguatezza di un manuale in uso, non hanno convenienza a entrare nella logica di manuali nuovi. Tutto questo porta a una certa stagnazione del settore. L’interesse massimo, che non è rappresentato in toto da nessuno degli stakeholders, sarebbe che uno strumento centrale come il manuale portasse ai ragazzi un plusvalore in termini di cultura e di aggiornamento disciplinare e didattico: di fatto questo supremo interesse “ideale” è in controtendenza rispetto al mercato, tanto che l’editore che progetta un nuovo libro guarda come prima cosa a quello che fanno gli altri che vendono di più.
Eppure si tratta di uno strumento fondamentale della vita scolastica. Una ricerca dell’Indire sugli strumenti didattici durante il lockdown ha mostrato che il manuale registrava le percentuali più alte di utilizzo in tutti gli ordini e gradi di scuola, fatta eccezione per la sola scuola dell’infanzia, anche se nel passato è stata a più riprese contestata l’adozione stessa di un manuale scolastico. Le iniziative degli insegnanti per rendersi autonomi nascono spesso dalla rigidità di contenuti e metodi: si pensi all’onnipresenza della narratologia degli anni 80 nelle antologie di italiano per il biennio, sentita da molti – e giustamente – come una gabbia della quale liberarsi a favore di un approccio più umano alla lettura; da qui la scelta di adottare testi completi o di predisporre proprie antologie (si veda la bella esperienza del “Libro fondativo” nelle Botteghe di Diesse). Alcune reti di scuole paritarie hanno promosso libri di testo frutto di precise scelte educative e didattiche, creando un sistema parallelo funzionale alla libertà di intrapresa in campo educativo.
In generale, tuttavia, per gli insegnanti il manuale è sinonimo di sicurezza, e in una certa misura anche di autorità. I professori cercano nel manuale quello che già sanno (o perché l’hanno imparato a scuola o perché lo hanno insegnato così). Purtroppo qualche insegnante si appoggia al manuale non solo come a uno strumento da vagliare criticamente e da utilizzare per propri scopi, ma facendone il sostitutivo di un proprio lavoro di cernita, di sequenzializzazione dei contenuti e della loro “resa” didattica. Il risultato è che quello che c’è nel manuale diventa lavoro obbligato (con gravi sensi di colpa se non ci si riesce, come invece giustamente accade, vista anche l’ipertrofia dei manuali odierni); gli apparati didattici suppliscono alla mancanza di idee pedagogico-didattiche su come trasmettere la propria materia; l’ordine di presentazione diventa quello dell’indice, che sostituisce un’idea di percorso in ordine di difficoltà in termini di competenze: quasi mai il manuale va dal più facile al più difficile, costruendo capacità sempre più raffinate, ma va in ordine cronologico (nelle materie storiche) o in ordine “accademico” (per es. la fonologia in grammatica).
Eppure, la scelta del manuale potrebbe tradursi in un’occasione di miglioramento della scuola e, per gli insegnanti, delle loro pratiche didattiche, ma questo non avviene, anche solo per il motivo che a tutti i docenti di una certa materia viene imposto – spesso dai dirigenti – di adottare lo stesso libro (la motivazione sfugge: per favorire studenti ripetenti che nella stessa scuola passassero da una sezione all’altra?).
Questa imposizione però impedisce a chi vuole provare a uscire dalla routine di imboccare strade nuove. Quale autonomia professionale ha il docente che si trova a dover accettare – senza scegliere – il minimo comune denominatore fra colleghi di diversa impostazione? Scrivo questo da autrice di una grammatica italiana per il biennio, apprezzata da molti che la conoscono, e la usano “in incognito” non potendo staccarsi, per le adozioni, dal loro dipartimento. Evidentemente il mio punto di vista non è neutrale, ma coglie comunque un fattore di staticità nel sistema.
Eppure la normativa così recita: “Si ricorda ai dirigenti scolastici di esercitare la necessaria vigilanza affinché le adozioni dei libri di testo di tutte le discipline siano deliberate nel rispetto dei vincoli normativi, assicurando che le scelte siano espressione della libertà di insegnamento e dell’autonomia professionale dei docenti”.
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