Negli scorsi giorni la Commissione europea ha pubblicato un interessante studio sullo spinoso tema del rapporto tra la transizione digitale in corso e la condizione di povertà e le “disuguaglianze salariali” in Europa. È molto interessante sottolineare come lo studio miri a valutare e fornire una panoramica della situazione di ogni Stato membro rispetto a quanto è stato in messo in campo, o che si prevede verrà fatto nel prossimo decennio, per garantire una trasformazione digitale socialmente equa.
La valutazione complessa interessa quattro dimensioni: il mercato del lavoro, le competenze, i sistemi di protezione sociale e le politiche sociali e la qualità delle infrastrutture digitali nelle imprese e nel settore pubblico.
Per il mercato del lavoro, in particolare, vengono presi in considerazione complessivamente nove indicatori: sei per descrivere la situazione attuale e tre che possono essere, altresì, utilizzati per delineare i possibili sviluppi nel prossimo decennio per promuovere, appunto, un digitale socialmente equo.
La trasformazione in corso implica, infatti, di porre l’accento sull’occupazione e sulla sua evoluzione in alcuni settori specifici e in alcune professioni che saranno particolarmente colpiti dalla transizione digitale in corso e dai rischi legati ai processi di automazione.
Questo fenomeno necessita, pertanto, una lettura complessa dei diversi indicatori selezionati utile a fornire informazioni dettagliate sull’attuale struttura economica e sulla sua capacità di adattarsi e di raccoglierne i benefici anche nelle dinamiche del mercato del lavoro.
Il report offre, quindi, un quadro dello stato di salute del nostro Paese.
Attualmente il settore manifatturiero è quello con la maggiore quota di occupazione nell’economia italiana. Lo stesso è, altresì, al quarto posto tra i settori in termini di occupazione nella trasformazione digitale sulla base dell’attuale percentuale di imprese che impiegano specialisti ICT.
Lo studio evidenzia, inoltre, come non si preveda che l’economia nazionale cresca ulteriormente nel decennio a venire, con un tasso leggermente inferiore alle tendenze dell’Europa a 27, a eccezione dei Servizi ICT, Professionali e di fornitura energetica che sono tuttavia anche i tre settori con il più alto grado di trasformazione digitale. Nella stessa prospettiva si registra, per quanto riguarda il rischio di automazione delle professioni, come il settore più vulnerabile sia rappresentato dai lavoratori del commercio.
Sembra, insomma, sempre molto attuale un vecchio slogan delle istituzioni europee “New skills for new jobs”, nuove competenze per nuovi lavori o forse, più correttamente, nuove competenze per nuovi modi di lavorare.
Anche, se non soprattutto, su questi temi e sulla capacità di trasformare i buoni propositi, e gli slogan, in proposte politiche concrete i diversi partiti politici saranno giudicati, già nelle prossime elezioni politiche di giugno, dai cittadini, lavoratori, elettori italiani ed europei.
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