Per quale ragione la Fed dovrebbe tagliare i tassi? Non è una domanda retorica. Affatto. La scorsa settimana ho dimostrato, grafico alla mano, come le condizioni finanziarie in cui opera Wall Street siano oggi migliori di quelle precedenti all’inizio del processo di normalizzazione monetaria, il cosiddetto Qt unito all’aumento del costo del denaro. Di fatto, è come se la Fed fosse rimasta ferma. Inutile. Se non per la farsa a jo-jo dell’inflazione, la mitica data-dependency. Ora, invece di tante chiacchiere politologiche sui modelli, mettiamo in fila qualche cifra.
Quelli che sto per elencare sono gli aumenti percentuali di prezzo di alcuni generi alimentari di larghissimo consumo a partire dal 2019 a oggi negli Usa. Cacao +345%, succo d’arancia +260%, olio d’oliva +219%, zucchero +120%, snack alla frutta +77%, olio per cucinare +54%, barrette al cioccolato +52%, carne di manzo +51%, maionese +50%, confezione di pane in cassetta +42%, uova +40%, latte +40%, cereali +38% e burro +24%. Ufficialmente, l’inflazione Usa è rimasta ampiamente sopra il 3% negli ultimi 3 anni. Tre anni. E l’americano medio oggi paga per questi beni di largo consumo alimentare il 40% in più di quanto costassero nel 2019. Pensate che i salari siano cresciuti altrettanto? Negli Usa, i generi alimentari di largo consumo che dal 2019 hanno registrato aumenti di prezzo superiori al 50% sono oltre 100.
Scusate, questa è un’economia forte, a vostro modo di vedere? È un modello? Sapete cos’ha evitato finora una rivolta? Il Covid. E non perché abbia relegato la gente in casa, ma perché ha garantito un’una tantum di sostegni federali che hanno attutito per un periodo sufficientemente lungo l’impatto di quell’aumento dei prezzi rispetto a salari stagnanti e risparmi erosi strutturalmente. Tutto qui, nient’altro che vasi comunicanti di uno schema Ponzi. Sociale e politico, prima che finanziario. Grazie al quale, però, Wall Street ha macinato un record al giorno, dando vita a uno dei rally più prolungati della sua storia.
Ora, però, date un’occhiata a questi due grafici, i quali ci mostrano la condizione in cui gli Usa si stanno presentando all’appuntamento elettorale di novembre.
Mentre le aziende attraverso il cambio di packaging dei beni alimentari diminuiscono il contenuto a fronte dell’aumento di prezzo, garantendosi margini e profitti attraverso a cosiddetta shrinkflation, è la matematica a confermare quanto vi annunciavo in attacco di pezzo. Semplicemente, il Qe mascherato garantito da Fed e Tesoro attraverso i magheggi su reverse repo e riserve negli ultimi 18 mesi ha garantito un surplus di 417 miliardi di liquidità al mercato, al netto del Qt posto in essere ufficialmente dalla Fed. Capito perché gli indici azionari e le cripto volano, nonostante un quadro macro che tutto ci conferma tranne che una traiettoria da soft landing?
Ed eccoci al secondo grafico, l’altra faccia della medaglia. Terminato da almeno sei mesi l’effetto doping del sostegno federale al reddito garantito dal welfare pandemico, ecco che l’americano medio di trova ad affrontare quell’aumento indiscriminato dei prezzi con un indebitamento su carte di credito alle stelle e risparmi ormai a zero. Tradotto, distruzione totale del potere d’acquisto. Tradotto ulteriormente, le Banche centrali con la loro narrativa monetarista stanno facendo pagare gli eccessi di Wall Street a Mr. Smith. Il quale è così fesso, magari, di indebitarsi per comprare azioni. Divenendo implicitamente complice del proprio omicidio. E con il prezzo della benzina per gallone alla pompa alle stelle, proprio all’inizio della stagione dello spring break, ecco che l’impennata del prezzo del petrolio in atto appare la classica ciliegina sulla torta per un colpo di coda dell’inflazione in grande stile.
Perché quindi la Fed dovrebbe tagliare i tassi, quando il sentiment che ci rimandano questi indicatori pare essere quello di un nuovo rialzo da mettere in agenda? Tanto, la crisi mica la paga Wall Street. O Capitol Hill. La crisi la pagano i cittadini. Mr. Smith. Senza nemmeno accorgersene. Perché state certi che, da qui a novembre, un qualche magheggio per rimpolpare quei conti corrente ormai ridotti a lumicino l’Amministrazione Biden lo troverà. Anche perché fra poco Mr. Smith potrebbe cominciare a chiedere conto dei miliardi stanziati negli ultimi due anni per l’Ucraina. E potrebbe farlo in maniera molto schietta. Soprattutto quando uno dei due candidati ha già detto chiaramente che Kiev lo interessa quanto pagare le tasse. E dal Cremlino arrivano segnali di distensione e carezze verso l’amico Donald.
Tutto un enorme teatrino. Finalizzato unicamente a rendere accettabile al 90% della popolazione un sistema basato sullo sfruttamento di chi lavora, intraprende e produce a favore di chi specula, ottenendo in cambio cicliche cadute dalla tavola di briciole assistenziali. Le quali generano nuovo debito e deficit. E sul medio periodo, il conto si riverbera sempre su Mr. Smith. O con l’aumento delle tasse o con il taglio dei servizi o con l’inflazione alle stelle a salari invariati. O con qualche crisi sistemica da scontare, sia essa una guerra o una pandemia.
Vi piace il mondo del Qe perenne, della stamperia globale, del debito che non esiste e non si ripaga? Eccolo. Ci siete dentro. Negli Usa come nell’Europa ormai Bce-centrica. Ecco il modello cui bisogna tendere e su cui occorre fare affidamento, al fine di non morire cinesi. Un modello che solo il 21 marzo scorso vedeva i suoi Ceo in visita a Pechino, sbavare in processione dietro a Xi Jinping. Tanto per non morire cinesi, appunto.
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