Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica presso l’Università degli Studi di Milano, ritiene che sia necessario riportare i genitori sui banchi di scuola per imparare l’educazione civica digitale. Il motivo è da ricondurre al fatto che non riescono a insegnare ai propri bambini come utilizzare al meglio i social network. “I minori sono delle spugne, se gli adulti si comportano in maniera opportuna loro fanno lo stesso. Guardano come usano gli smartphone e li imitano”, ha spiegato in una intervista a La Verità.
Il problema è che i comportamenti in gran parte dei casi sono errati e le conseguenze si riversano proprio sui più piccoli. “I minori sbarcano sempre prima sul web, già dai 5-6 anni hanno smartphone che consentono loro di svolgere attività sulle piattaforme. Una bambina tipica di 9 anni oggi sta 8-10 ore a guardare video”. Un fenomeno che fa piacere a YouTube e simili, che incassano notevoli guadagni, ma che compromette lo sviluppo della società. Anche perché spesso non è dato sapere quali tipologie di contenuti attirino la loro attenzione. “Nell’ottica delle piattaforme moderne sono i genitori a dovere controllare, ma ciò non avviene. Un po’ perché l’istituto della famiglia è in crisi, un po’ perché non c’è tempo”.
Bambini sempre più spesso sui social network: è allarme, le leggi non bastano
Al Parlamento è stata da poco presentata una proposta di legge sullo sharenting, ovvero comportamento dei genitori moderni di pubblicare contenuti che violano la privacy dei loro figli. È una pratica possibile, dato che il consenso fino alla maggiore età fa capo proprio a loro. La sua eticità è però tutta da discutere. E anche il Governo non sembra ancora avere trovato una quadra in merito. “Il testo fa un po’ di confusione, poiché non è dedicato solo alla condivisione delle foto da parte dei genitori ma si occupa anche dei cosiddetti baby influencer e dello sfruttamento economico da parte delle famiglie”, ha sottolineato Giovanni Ziccardi.
Il modus operandi secondo il professore dovrebbe essere diverso, dividendo le fattispecie. Ma c’è di più. “Ogni questione tecnologica, dal punto di vista giuridico, si può regolamentare in tre ambiti. La legge, l’educazione e l’intervento delle piattaforme”. Se la politica sta provando a muoversi, le altre due parti invece sono del tutto ferme. È per questo motivo che il successo è lontano.