La (solita) patrimoniale

L'ipotesi di una patrimoniale torna a farsi spazio nel dibattito, ma continua ad apparire un puro mix di assistenzialismo e "vendetta sociale"

L’evocazione di una tassazione patrimoniale è un classico della politica finanziaria italiana. Pochi giorni prima dell’euro-voto 2019 era stato l’allora Governatore della Banca centrale olandese, Klaas Knot, a suggerire che l’Italia facesse ricorso a un prelievo straordinario dal suo ingente “giacimento” di risparmio per abbattere il debito (pochi giorni le elezioni dopo la Commissione Ue uscente adottò una procedura d’infrazione contro Roma per eccesso di scostamento dal parametro). Ma già parecchi anni prima il ministro del Lavoro Elsa Fornero, bersagliata dalle polemiche sulla riforma delle pensioni (il capitolo più doloroso dell’austerity anti-spread imposta dall’Europa), si era difesa affermando che si era trattato dell’ultima opzione disponibile prima della patrimoniale.

Negli ultimi anni la “solita” carta della patrimoniale è tornata nelle più tradizionali mani della sinistra nel confronto politico interno: si trattasse del tandem Pd Roberto Gualtieri/Antonio Misiani al Mef durante il Governo Conte-2, piuttosto che – ancora negli ultimi giorni – del Segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, politicamente equivicino a “dem” e M5S. Le argomentazioni hanno raramente cancellato il vincolo europeo (tornato in vigore nel 2024), ma hanno virato progressivamente verso esigenze di equità sociale, soprattutto in una fase critica come quella disegnata dalla crisi geopolitica a connotazione inflazionistica e recessiva.

La premessa-obiettivo in sé è sempre poco contestabile: così come il contrasto all’evasione fiscale, altro cavallo di battaglia politico-finanziario del centrosinistra. Se il “far pagare le tasse a tutti” resta indiscutibile – è un dovere costituzionale -, ragionare di patrimoniale nel 2024 sembra invece prestarsi a qualche riflessione.

L’efficienza redistributiva  e l’efficacia sviluppista dei governi susseguitisi dal 2011 al 2022  si è dimostrata molto carente. Dagli “80 euro” del Governo Renzi a cavallo delle europee 2014 il Paese è passato al Reddito di cittadinanza varato dal leader M5S Luigi Di Maio – superministro dello Sviluppo e del Lavoro – dopo il voto 2018. E il Superbonus – che il Governo Meloni si è ritrovato come zavorra supplementare nei conti pubblici – è stato nei fatti l’esito della scelta anticipata del Governo Conte-2 di spendere i sussidi del Recovery Plan europeo già in cantiere. Ora: il “reddito” ha completamente fallito la finalità strategica di sviluppo quali-quantitativo dell’occupazione; e il bilancio finale del Superbonus – anche sul versante della legalità fiscale – non è stato migliore. Sono trascorsi del resto quasi due secoli da quando i Primi ministri francesi scoprirono che “quando l’edilizia va tutto va”. E c’è voluto un Premier come Mario Draghi per riscrivere il Pnrr targato Pd-M5S sulle traiettorie della transizione digitale ed eco-energetica (e forse sarebbe ora il caso – soprattutto in un Paese come l’Italia – di parlare di una sola “transizione industriale”).

Ribadito che in Italia sono alti – fuori parametro – sia l’evasione fiscale, sia il debito pubblico, la riproposta della patrimoniale sembra stavolta particolarmente discutibile e non è forse un caso che l’idea stenti a occupare il centro del dibattito pre-elettorale. Se l’obiettivo è quello di combattere le diseguaglianze – di reddito ma non solo – come si suppone debba e possa fare un Paese fondatore dell’Ue e del G7, la patrimoniale continua ad apparire un puro mix di assistenzialismo e “vendetta sociale” (per di più alimentata da quelle forze politiche che hanno avuto a disposizione un decennio per aprire percorsi politico-economici diversi).

A Landini – la cui leadership politico-sindacale rimane – può essere utile rivolgere il consiglio (non richiesto) di intensificare l’azione nel suo teatro principale: quello delle relazioni d’impresa. Quando i sindacati non riempiono le piazze – in un periodo come l’attuale – generano stabilità sociale: bene comune non trascurabile, soprattutto nel confronto ravvicinatissimo di un Paese come la Francia. Ma non dimentichiamo la  lunghissima stagione di scioperi in molti settori dell’economia Usa: dove i sindacati hanno ottenuto – in prima persona – risultati che anche oltre Atlantico si era presa l’abitudine di attendere dalla politica.

L’inflazione – che ha colpito famiglie e lavoratori a basso reddito – ha tonificato i bilanci di numerosi gruppi (le banche sono il comparto più visibile, ma non certo l’unico). I fondi pubblici del Pnrr possono essere spesi meglio di quanto previsto finora. Ecco: gli spazi – politici e di mercato – per “trasferire risorse in via straordinaria” a vantaggio dei lavoratori e delle fasce deboli di popolazione paiono non mancare. La “solita” patrimoniale – fra l’altro – è nel frattempo già sul tavolo: è la revisione delle rendite catastali che il Governo di centrodestra non potrà eludere, quando – appena dopo il voto europeo – la ricostruzione del Patto di stabilità Ue entrerà nel vivo.

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