Cosa accade tra Bari e Torino? La “scoperta” che alcuni esponenti del Pd siano associati a modi poco coerenti con la narrazione di un partito lontano dai magheggi del voto non è nuova in assoluto. Ma la concentrazione di inchieste e provvedimenti alla vigilia delle europee è di certo una coincidenza a cui si deve dare, forse, un peso. Che la politica sui territori sia nelle mani di un’antica dinastia di dirigenti locali che, alla fine, affondano le radici nella prima repubblica è fatto comune, in generale, alla politica da destra a sinistra. Anche se la magistratura ha avuto storicamente più attenzione al lato centrista dell’arco politico visto come la casa di coloro che, non infervorati da passione ideologica, erano più disponibili a cercare il voto per la convenienza spiccia dell’elettorato.
Solo che negli anni si è sempre più fatto chiaro che i “possessori” di pacchetti di voti si sono accasati di volta in volta dove ritenevano opportuno, senza badare più di tanto alla reale adesione alla leadership nazionale. Il che ha creato, di fatto, un mercato del consenso a livello territoriale in cui i maggiori protagonisti si sono mossi spregiudicatamente. Saltando da corrente a corrente o da partito a partito, se non da schieramento a schieramento.
Questo testimonia due cose. La prima è che l’elettorato disposto a cedere il voto in cambio di minimi vantaggi è consistente, mobile e numeroso. Rari i casi di elettori arrestati, vista la farraginosità delle norme, anche se chi adempie ad uno scellerato patto di compravendita elettorale tradisce di più di chi lo propone. Il che andrebbe corretto in qualche modo anche sul piano legislativo.
La seconda considerazione è che nel popolo italiano, meglio in una sua parte, sopravvive la tendenza a massimizzare il proprio consenso come ai tempi dei romani. La prima legge ad occuparsene è del 358 a.C. (la Lex Poetelia de Ambitu), e puniva la compravendita elettorale. Il che dovrebbe dirla lunga su come il popolo, o una sua più o meno larga parte, intende l’esercizio del voto.
Cosa c’è di nuovo, quindi? La novità è che ora come allora c’è sempre stato un partito o un movimento che si è detto estraneo a dette pratiche. E fino a poco fa lo scettro spettava al Pd. Che era, in un certo senso, ritenuto incapace di condotte simili a quelle contestate diffusamente a Bari e Torino. La Schlein dirige, secondo i pm, un partito che ha rapporti e se la intende con soggetti sospettati, innocenti fino a prova contraria, di praticare l’antica e deplorevole pratica dell’acquisto del voto. Ripulirsi, come lo intende la dirigenza attuale del Pd, sarà doloroso e complesso. Soprattutto rischia di tradursi in un’operazione da campo bellico. Ovvero amputare diversi arti per evitare la cancrena. Rischiando di perdere forza elettorale e credibilità per lungo tempo.
Quando ciò accade vale sempre la pena di farsi la vecchia domanda: Cui prodest? La risposta è chiara. A Conte ed ai suoi, che non vedono l’ora di fagocitare gli elettori sconsolati del Pd, come fecero Grillo e Di Maio ai tempi di Bibbiano, attaccando il Pd alle sue fondamenta, ovvero nel consenso sociale che ancora gode in parte del Paese produttivo e salariato che vorrebbe una casa accogliente per le sue battaglie e non inquinata da pratiche così bassamente illecite.
Se quindi c’è oggi un nuova fiammata di inchieste che hanno come obiettivo il Pd, colpendo esponenti che operano da anni sul territorio, vale anche la pena chiedersi se questi fatti siano davvero nuovi o siano solo usciti ora. E se mettere alla berlina il Pd non sia un messaggio a chi lo governa. Di certo, ad oggi, i campioni della legalità che si sono accasati nei 5 Stelle sentono l’odore del sangue e Conte, che li guida, non ci ha messo un nanosecondo a mollare Elly ed a rilanciare le vecchie parole d’ordine: “Mai col Pd”.
Ecco, forse in questo contesto si comprende come rifondare il Pd come vuole la Schlein sia davvero complesso se si vuole, al contempo, non perdere voti. Alla fine se non li prendi come li prendevi prima dovrai inventarti qualcosa altro. Ed al momento non pare ci sia una proposta politica talmente forte da quella parte, come la eversiva cavalcata di Renzi, che possa portare la gente a dare il consenso “nonostante” qualche ipotetico farabutto. Detto in modo ancor più chiaro, se il Pd non trova una linea politica netta sui contenuti ma pensa di guidare la partita sull’antitesi a coloro che non gli piacciono, potrebbe accadere che tra le tante cose che il suo elettorato non vuole ci sia un partito che pontifica sull’antifascismo ma che, dalle inchieste, appare nutrirsi di pratiche scorrette.
Perciò tra Bari e Torino rischia di accendersi un’inattesa ed inesorabile crisi che, questa volta, può mettere il Pd al tappeto. E non ci sarà nessuno a tirarlo su tra i poteri che lo hanno appoggiato, perché alcuni potrebbero aver già scelto un campione nuovo e puro. Quel Conte che di essere alleato, ora, non ci pensa proprio e che sente di avere in mano una carta potente per vincere la competizione come più rilevante forza di opposizione. Per lui tra Bari e Torino si apre una autostrada verso Bruxelles, se saprà tenere la marcia.
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