IL GOVERNO IN CDM IMPUGNA LA SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO CONTRO IL DECRETO SALVINI SU “GENITORE 1 E 2”
In apertura del Consiglio dei Ministri riunitosi ieri per l’approvazione del Def 2024, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha tenuto una breve informativa per annunciare la nuova mossa del Governo Meloni sull’annoso tema “burocratico” della dicitura “genitore 1 e genitore 2” sulla carta d’identità dei minori. L’intervento del Viminale, che di fatto delibera il ricorso in Cassazione assegnando il mandato all’Avvocatura di Stato, prende spunto dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma dello scorso gennaio, che a sua volta aveva cancellato il Decreto Salvini del 2019 (quando il leader della Lega era Ministro dell’Interno).
Come riporta il comunicato del CdM del 9 aprile, la riunione dei Ministri a Palazzo Chigi «alla luce di una informativa svolta dal Ministro dell’interno Matteo Piantedosi, ha deliberato di conferire mandato all’Avvocatura dello Stato ai fini del ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 24 gennaio 2024». La sentenza in termini formali era relativa alle modalità di emissione e alle caratteristiche della CIE (Carta d’identità elettronica), disciplinate fino ad allora dal decreto 2015 e dalle successive modifiche dell’ex Ministro Salvini: tradotto in parole povere, la dicitura “genitore 1 e genitore 2” per i giudici della Corte d’Appello sono da reinserire – come già aveva indicato l’ex Ministro Lamorgese – mentre il Centrodestra punta alla dicitura naturale di “padre e madre”.
RICORSO IN CASSAZIONE CONTRO “GENITORE 1 E 2” SULLA CARTA D’IDENTITÀ
Nella sentenza della Corte d’Appello di Roma a gennaio i giudici avevano ritenuto illegittimo escludere la possibilità di indicare sulla carta di identità elettronica dei minori, valida anche per l’espatrio, i termini “genitore 1 e genitore 2”, dovendo invece riportare “padre” e “madre” come definizione classica. La posizione della Corte era netta sul decreto Salvini in quanto ritiene che sui documenti ufficiali non possono essere riportati dati diversi da quelli posti nei registri dell’anagrafe, dove appunto si legge “genitore 1 e genitore 2” ormai da anni.
Il tema non è ovviamente solo burocratico in quanto gli stessi giudici nella recente sentenza scrivevano quanto segue: «proprio l’esistenza di istituti come l’adozione in casi particolari, che può dar luogo alla presenza di due genitori dello stesso sesso (l’uno naturale, l’altro adottivo) dimostra che le diciture previste dai modelli ministeriali (padre/madre) non sono rappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e della conseguente filiazione imposte dai modelli ministeriali». Vi è dunque la tematica ben più delicata delle coppie LGBTQ e della possibilità di adozioni per famiglie “arcobaleno”, con tanto di registrazione dei figli all’anagrafe: con l’impugnare la sentenza e la presentazione del ricorso in Cassazione, il Governo con Piantedosi prova a ristabilire un’idea di “buonsenso” all’interno delle strutture formali burocratiche dei registri pubblici.