Contagiati dal fascino della sperimentazione in opposizione all’arte accademica ufficiale e impazienti di trovare nuove vie per la pittura moderna, Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) e Paul Cézanne (1839-1906) si uniscono con entusiasmo nel 1874 all’esordio parigino del “crogiolo impressionista”, nello studio del fotografo Nadar. Ma dopo qualche anno sentono prepotente l’esigenza di andare oltre quell’esperienza, tanto da disertare la quarta e la quinta mostra impressionista. Addirittura Renoir confiderà al gallerista Ambroise Vollard: “Avevo spinto fino alle estreme conseguenze l’esperienza impressionista per poi accorgermi di non saper né dipingere, né disegnare”. La pittura en plein air non gli basta più. “Dipingendo a diretto contatto con la natura si finisce per cercare solo l’effetto, per abdicare alla composizione: si scivola rapidamente nella monotonia”.
In realtà sia Renoir che Cézanne non potevano rassegnarsi alla dissoluzione delle forme figurative. Il percorso di entrambi comporta perciò una nuova ribellione, questa volta contro il diktat impressionista del primato della pennellata sul disegno, superando la tentazione di dissolvere la forma in una “impressione”. Cercavano infatti di rappresentare “un universo meno volatile e fugace”, riconsideravano l’importanza dell’ordine e della struttura nella composizione artistica, senza rinnegare tuttavia le conquiste tecniche impressioniste. E l’amicizia tra di loro li aiutò a trovare ciascuno la propria via originale verso l’“essenza delle cose”. “Ciò che tento di rivelare è più misterioso, si avviluppa alle radici stesse dell’essere”, confidava il meditativo Cézanne, mentre per l’esuberante Renoir un quadro doveva essere “qualcosa di amabile, felice e piacevole”.
Figlio di un sarto e di un’operaia, Renoir ha gusti semplici e sinceri e la sua pittura esprime la sua anima popolare in un “canto d’amore per la vita, la bellezza, la gioia”, anche se deve lavorare per necessità. È affascinato dall’inesauribile vitalità delle persone e si immerge nella ricchezza del colore imbevuto di luce. L’universo femminile lo conquista per la sua tenerezza e ce lo restituisce in tutta la sua leggiadra armonia di capigliature vaporose, volti sorridenti, sguardi luminosi. La delicata rotondità e leggerezza delle sue figure e la dolce voluttuosità delle nature morte e dei mazzi di fiori spumeggianti aprono la via alle sue sperimentazioni di post-impressionista. Adotta coraggiose pennellate fluide e ammalianti colori tenui, luci delicate ma splendenti, quasi in contrasto con l’ossessione delle forme “ritmiche e sintetiche” care al suo amico Cézanne, che invece esortava il giovane pittore Émile Bernard a dipingere la natura “secondo il cilindro, la sfera e il cono”.
Cézanne, che ospiterà frequentemente Pierre-Auguste a casa sua nel Midi della Francia, è invece figlio di un banchiere, dipinge per scelta e certamente non pressato da necessità economiche, anche se la famiglia non approva la sua decisione di diventare un artista. È tenace, determinato, solitario e matura una profonda consapevolezza del compito del pittore. Ma il maestro di Aix-en-Provence dovrà attendere parecchi anni per veder riconosciuto il suo talento. Come l’amico Renoir verrà respinto al Salon per ben due volte prima di poter presentare le sue opere in occasione della famosa prima esposizione dell’Impressionismo. Solo nel 1895, quando avrà già 56 anni, sarà organizzata da Vollard una mostra a lui dedicata. Saranno finalmente gli artisti del primo Novecento a scoprire il suo straordinario ingegno, nelle geometrie rigorose dei suoi paesaggi e nei rigidi volumi delle nature morte. Per Picasso sarà “un padre, una madre, un nonno”, per Matisse “una specie di Dio misericordioso della pittura”.
Ma che cosa accomuna davvero Renoir e Cézanne, a parte l’amicizia e l’ammirazione reciproca? I loro linguaggi pittorici, apparentemente così differenti, perseguono in realtà un’aspirazione condivisa e costantemente ricercata: la verità misteriosa delle cose e delle persone, nella medesima passione per la natura morta, il paesaggio, il ritratto e il nudo. Nel tentativo di riattualizzare l’intramontabile classicismo scelgono soluzioni estetiche ben diverse, che l’esposizione di Palazzo Reale documenta in modo esemplare, accostando dipinti dell’uno e dell’altro sugli stessi temi e generi. Come afferma efficacemente il presidente del Musée d’Orsay e Musée de l’Orangerie (da cui provengono le opere esposte) a proposito della coppia Renoir-Cézanne “la calda espressività del maestro impressionista si scontra con la precisione analitica dell’araldo del cubismo. Alla sensualità delle pesche succose e vellutate di Renoir, alle fragole rosse e alle pere rosee, sature di sole e disposte su soffici tovaglie, fanno da contrappunto i frutti sodi e gialli che Cézanne contorna di nero e colloca su tavoli spogli dagli spigoli netti”.
A. Renoir, Pesche (1881, particolare)
Percorrendo le spaziose sale della mostra, molto ben allestite, i delicati nudi dall’incarnato perlaceo di Renoir valorizzano per contrasto i rigidi muscoli virili dei ruvidi bagnanti statuari di Cézanne; così come i volti sorridenti e le movenze morbide e lussureggianti del primo si oppongono ai contorni geometrici e appuntiti del secondo, che ritagliano i volumi con le tinte blu, verde e giallo-arancio terroso. Proprio questi due modelli tanto diversi hanno ispirato molti artisti del Novecento, che li hanno considerati antesignani delle avanguardie artistiche, come appare evidente nei due quadri di Picasso a fine mostra. A conferma che la necessaria riscoperta della tradizione classica, perseguita con tenacia e originalità dai due maestri francesi, apre le porte alla vera innovazione della pittura.
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