Tra le proposte di modifica al ddl sulla cybersicurezza che sono state depositate, quelle più severe sono del deputato di Azione Enrico Costa e della parlamentare di Italia Viva Maria Elena Boschi. «Diritto di cronaca non significa immunità», afferma il primo, che vorrebbe introdurre la pena da 6 mesi a 3 anni di carcere per chi divulga informazioni di provenienza illecita. Il deputato ha elaborato una norma anti-Striano, ufficiale della Guardia di Finanza al centro di un’inchiesta per presunti accessi alle banche dati. Costa, come riportato dall’Ansa, suggerisce una stretta all’accesso degli archivi informatici, da consentire solo a tecnici selezionati tramite un complicato meccanismo che si basa anche su impronta digitale o riconoscimento facciale. Ogni accesso dovrà essere registrato e motivato, con una descrizione sintetica delle operazioni svolte da allegare. Il titolare della banca dati dovrà tenere tale registro, aggiornarlo e custodirlo, oltre che fornirlo per ispezioni o controlli. Costa spinge anche per una limitazione all’uso del trojan, il sistema spesso usato dalle forze dell’ordine per le intercettazioni. Il deputato di Azione propone che venga autorizzato solo da un giudice collegiale. Inoltre, vorrebbe evitare che siano sufficienti indizi di reato per intercettare per i reati di cybersicurezza, così per mafia e terrorismo.
Ancor più severo l’emendamento di Boschi sui procedimenti penali. Infatti, la proposta è da uno a tre anni di carcere per gli accessi abusivi ad atti del processo penale. Inoltre, vorrebbe introdurre nuovi articoli per punire chi possiede gli atti acquisiti illecitamente e li rivela. Chi è in possesso di documenti con dati relativi a conversazioni e a comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche, di natura illecita, va punito con il carcere da 6 mesi a 4 anni. Stessa pena prevista per chi rivela tali atti tramite ogni mezzo di informazione. La pena dovrebbe arrivare a 5 anni se a commettere il fatto è un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio. «Chi pubblica informazioni che sa essere state rubate attraverso fatti di reato, perché questo non è diritto di cronaca», la posizione di Costa. (agg. di Silvana Palazzo)
“CARCERE AI GIORNALISTI”: COSA PREVEDE L’EMENDAMENTO FDI SUL DDL DIFFAMAZIONE
Nel tentativo di tutelare chi venga diffamato da articoli e notizie di stampa, l’ultimo emendamento presentato al relatore sul ddl diffamazione – il deputato FdI Gianni Berrino – ha aperto una grossa polemica tanto con le opposizioni quanto soprattutto con il resto della maggioranza di Centrodestra: torna infatti l’ipotesi del carcere per i giornalisti condannati per il reato di diffamazione, con pene fino a 4 anni e mezzo.
Non appena però Berrino ha presentato l’emendamento in commissione Giustizia alla Camera la polemica è letteralmente esplosa: si tratta di fatto dell’introduzione di un nuovo articolo, il 13bis, secondo cui (riporta il “Corriere della Sera”) «Chiunque, con condotte reiterate e coordinate, preordinate ad arrecare un grave pregiudizio all’altrui reputazione, attribuisce a taluno con il mezzo della stampa fatti che sa essere anche in parte falsi è punito con il carcere da 1 a 3 anni e con la multa da 50 mila a 120 mila euro». Se invece emerge che l’offeso è innocente, allora la pena aumenta di un terzo alla metà, ovvero fino a 4 anni e mezzo di carcere
L’EMENDAMENTO BERRINO APRE LO SCONTRO: LE REAZIONI DI SINISTRA E DELLO STESSO CENTRODESTRA CHE CHIEDE MODIFICHE
Nel 2021 già l’articolo 13 della legge sulla stampa era stato dichiarato definitivamente “illegittimo” dalla sentenza della Corte Costituzionale in quando prevedeva pene detentive: ora il nuovo emendamento di Berrino rischia di porre l’argomento sui medesimi temi, tanto da scatenare immediatamente la reazione del Centrosinistra. «Questa maggioranza ha proprio un conto aperto con la libertà di informazione», attacca la delegazione Pd in Commissione Giustizia (Bazoli, Rossomando, Mirabelli e Verini), il ricorso al carcere per i giornalisti è un «retaggio abrabro» e condannati da tutti i tribunali, ribadiscono i dem. Per la presidente del Comitato di Vigilanza Rai, la M5s Barbara Floridia, «FdI dovrebbe riflettere seriamente sulle implicazioni di una simile proposta e ritirarla immediatamente».
Ma le resistenze più forti all’emendamento Berrino sul carcere ai giornalisti per diffamazione arrivano dalla stessa coalizione di Centrodestra che non condivide contenuto e toni della proposta: «Come presidente della Commissione Giustizia ho sempre cercato di far trovare una posizione di mediazione tra maggioranza e opposizione, e ho sottolineato l’importanza di focalizzare l’attenzione sui titoli degli articoli e sulla tematica della rettifica», denuncia la presidente della Commissione Giulia Bongiorno, parlamentare della Lega. Secondo l’avvocatessa esiste un modo diverso di affermare i propri diritti senza arrivare a punizioni estreme: «vedremo e approfondiremo i nuovi emendamenti, personalmente come Lega riteniamo importante focalizzare l’attenzione sul titolo e rettifica, per il resto nei prossimi giorni ci saranno delle riunioni di maggioranza», ribadisce il Carroccio.
Secondo il forzista Pierantonio Zanettin l’emendamento di Berrino rischia di non essere conciliabile con la sentenza della Consulta del 2021, sottolineando come Forza Italia richiede il diritto alla rettifica, «non il carcere». Contro la mossa di FdI si schiera infine il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi secondo cui serve un «forte e deciso no» all’emendamento sul carcere eventuale ai giornalisti. In risposta alle ingiunzioni lanciate dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale per la stampa, in serata giovedì è giunta la replica netta all’ANSA del relatore sul ddl diffamazione, il meloniano Berrino: «Nessuno ha diritto di inventarsi fatti falsi e precisi per ledere l’onore delle persone. Quello non è diritto di informazione ma orchestrata macchina del fango, che lede anche il diritto alla corretta e veritiera informazione».