Nei giorni scorsi si sono meglio delineate le prospettive delle politiche economiche per l’Italia, in un contesto che rimane caratterizzato da rischi e incertezze. Martedì scorso il Governo ha varato il Documento di economia e finanza per il 2024, tracciando le tendenze dei conti pubblici a legislazione vigente, mentre giovedì il Consiglio direttivo della Bce ha mantenuto invariati i tassi di riferimento, nonostante a marzo l’inflazione dell’Eurozona sia scesa al 2,4% rispetto al 2,6% di febbraio.
Il Def 2024 abbassa le previsioni di crescita per il 2024-2025 e conferma una riduzione del rapporto deficit/Pil che nel 2027 scende al 2,2%. Il peso del debito, invece, torna a salire, passando dal 137,3% del Pil del 2023 al 139,6% del 2026, modificando il sentiero di stabilizzazione tracciato lo scorso settembre nella Nota di aggiornamento al Def 2023.
Il quadro programmatico – quello previsto con le manovre di bilancio – è rinviato al prossimo Piano fiscale-strutturale di medio termine previsto dalle nuove regole europee. Il Piano, che avrà una cadenza allineata alla durata della legislatura (5 anni per l’Italia), sarà presentato il prossimo 20 settembre e, nel periodo di programmazione, ogni 30 aprile, sarà integrato da un Rapporto di monitoraggio annuale.
Dietro alle traiettorie degli indici di finanza pubblica si celano le complessità della politica fiscale italiana. Il deficit è ampiamente superiore al 3% del Pil, e con il ritorno in vigore del Patto di stabilità e crescita – come preannunciato dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti – è scontata l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia, della Francia e di altri dieci Paesi. Nelle raccomandazioni di maggio del 2023 la Commissione riteneva opportuno per l’Italia un miglioramento del saldo strutturale di almeno lo 0,7 % del Pil per il 2024. Nell’ipotesi di un aggiustamento di questo ordine di grandezza e la conferma degli interventi sul cuneo fiscale e sull’Irpef la prossima manovra di bilancio per il 2025 richiederebbe risorse per 1,4 punti di Pil da reperire con maggiori entrate e minori spese. In relazione al ciclo elettorale europeo (elezioni a giugno e nuova Commissione europea in autunno) si potrebbero contenere le richieste di aggiustamento per Italia e Francia.
I futuri aggiustamenti di bilancio dovranno adattarsi alle nuove regole previste dalla riforma del Patto di stabilità e crescita che, per i Paesi ad alto debito come l’Italia, prevedono una riduzione del rapporto debito/Pil dell’1% all’anno e un prudenziale limite del rapporto deficit/Pil dell’1,5%. Il sostegno all’economia dato dal Pnrr è depotenziato dai ritardi nell’attuazione del Piano e da una carente capacità amministrativa.
Un severo aggiustamento fiscale potrebbe ridurre le risorse necessarie per accompagnare le famiglie nell’attuazione della direttiva sulle case green, da cui è attesa una diminuzione dell’energia utilizzata di almeno il 16% entro il 2030 e di almeno il 20-22% entro il 2035. Si stima che siano 9,5 milioni (37,1%) le abitazioni occupate collocate nella classe energetica meno efficiente (G). Ulteriori incertezze e complessità burocratiche deriverebbero dalla sostituzione dei crediti di imposta con i contributi.
La stretta monetaria sta riducendo il tasso di investimento delle imprese, che nel 2023 scende al 18,7% del valore aggiunto, in calo di 1,2 punti dal 19,9% del 2022. In prospettiva di una restrizione fiscale, diventa particolarmente prezioso il pacchetto di sostegno agli investimenti per la transizione 5.0, contenuto nel Decreto Pnrr dello scorso 2 marzo, che prevede crediti di imposta per investimenti effettuati per 6,2 miliardi di euro nel biennio 2024 e 2025, che si aggiungono ai 6,4 miliardi già previsti dalla Legge di bilancio.
Se la governance fiscale diventa restrittiva, è più che mai necessario un rapido cambio di direzione della politica monetaria. A marzo l’inflazione nell’Eurozona scende al 2,4% (era 2,6% a febbraio) e la componente di fondo si colloca al 3,1% (era 3,3% a febbraio). Il segnale di riduzione dell’inflazione non si è ancora tradotto in un taglio dei tassi.
Nella seduta dello scorso 11 aprile il Consiglio direttivo della Bce ha mantenuto invariati i tassi di riferimento. Nel comunicato stampa si indica che “se la valutazione aggiornata del Consiglio direttivo in merito alle prospettive di inflazione, alla dinamica dell’inflazione di fondo e all’intensità della trasmissione della politica monetaria accrescesse ulteriormente la sua certezza che l’inflazione stia convergendo stabilmente verso l’obiettivo, sarebbe opportuno ridurre l’attuale livello di restrizione della politica monetaria.” Una riduzione dei tassi è più probabile a giugno, ma i tempi rimangono incerti: “il Consiglio direttivo continuerà a seguire un approccio guidato dai dati in base al quale le decisioni vengono definite di volta in volta a ogni riunione, senza vincolarsi a un particolare percorso di riduzione“.
Il perdurare della stretta monetaria aggrava le condizioni finanziarie delle imprese italiane, maggiormente colpite dal caro tassi. A febbraio 2024 il costo del credito bancario per le imprese italiane è pari al 5,44%, di 32 punti base in più rispetto al 5,12% dell’Eurozona e superiore di 381 punti base rispetto a quelli di giugno 2022, mese precedente al primo rialzo, un aumento più marcato dei 329 punti base in più registrati in Eurozona.
Un’eccessiva debolezza delle politiche economiche e un ritardo nella ripresa del commercio internazionale causato dalle turbolenze geopolitiche in atto, azionerebbero il freno a mano all’economia italiana, locomotiva europea nella ripresa post pandemia. Tra il 2019 e il 2023 l’Italia ha cumulato una crescita del Pil del 3,5%, facendo meglio di Spagna (+2,5%), Francia (+1,5%) e Germania (+0,7%). Nei precedenti vent’anni l’Italia è sempre stata all’ultimo posto tra le maggiori economie europee per tasso di crescita.
In parallelo, le imprese stanno sostenendo il ciclo espansivo del mercato del lavoro. A febbraio 2024 l’occupazione continua a crescere, segnando un aumento dell’1,5% su base annua, anche se dalle previsioni di Unioncamere-Anpal per il trimestre aprile-giugno 2024 arriva un segnale di raffreddamento della domanda (-3,0% su base annua).
Le statistiche annuali confermano una straordinaria crescita dell’occupazione nell’ultimo biennio. Nonostante le incertezze del conflitto in Ucraina, una grave crisi energetica e il calo del commercio internazionale, tra il 2021 e il 2023 gli occupati in Italia sono saliti di 1 milione 26mila unità (+4,5%), con 838mila dipendenti permanenti in più (+5,7%) – di cui 801 mila a tempo pieno – a fronte di un aumento di 74mila dipendenti temporanei (+2,5%) e di 114mila indipendenti (+2,3%).
In una classifica ibrida tra le regioni italiane e i restanti 26 Paesi dell’Ue, le performance occupazionali nell’ultimo biennio della Sicilia con +7,6%, della Puglia con +7,1% e del Veneto con +7,0%, sono migliori di quella della Spagna (+6,2%). L’intero Mezzogiorno con +5,7% fa meglio della Provincia Autonoma di Bolzano (+5,1%) e della Germania (+4,2%). La Calabria con +3,5% fa meglio della Provincia Autonoma di Trento (+3,4%) e della Francia (+3,1%). L’occupazione nel biennio in esame sale a doppia cifra a Catania (+15,1%), Padova (+13,7%), Prato (+12,3%), Benevento (+12%), Agrigento (+11,4%), Ascoli Piceno (+11,0%) e Catanzaro (+10,5%).
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