Il Patto su migrazione e asilo ratificato la settimana scorsa dal Parlamento europeo non è un buon patto. Dopo otto anni di trattative ci si è affrettati a chiuderlo. I gruppi parlamentari della maggioranza vogliono evitare che i partiti più radicali approfittino della paura dell’immigrazione per guadagnare voti.
Dopo la crisi dei rifugiati del 2015, infatti, importanti settori sociali in Europa stanno vivendo una sorta di shock post-traumatico di fronte all’arrivo degli stranieri. Quest’ultimi sono ritenuti responsabili, tra l’altro, del peggioramento dei servizi sociali, dell’aumento della minaccia terroristica, della crescita della criminalità comune e della dissoluzione dell’identità occidentale.
Pochi giorni fa, uno dei deputati del gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti europei (ECR), per giustificare l’uso del “panico morale” contro l’immigrazione, ha affermato che chi arriva è diverso, che noi “abbiamo cultura, appartenenza, origini, religione, uno stile di vita, costumi e una visione del bene e del male”.
Si lancia l’allarme perché l’immigrazione, insieme al progressismo, stanno fomentando il “suicidio dell’Occidente”. Una tradizione, un solido edificio di credenze, un mondo di valori sarebbero in pericolo. È un modo di intendere la tradizione come qualcosa di statico e che sfugge all’impegno con il presente. La cultura, la religione, l’appartenenza e il modo di vivere si devitalizzano se non vengono utilizzati per giudicare i problemi di ogni momento, per affrontare le sfide che si presentano nella storia. Non c’è trasmissione della tradizione se non si mette in discussione un popolo o una persona o se non se ne dimostra l’utilità.
Il test per la validità di un certo modo di vivere è la sua capacità di non censurare la realtà. E la corrente anti-immigrazione nega dati essenziali. Molti imprenditori europei hanno bisogno di manodopera e gli stranieri, in parte, risolvono questo problema. Oltre il 60% dei migranti che vivono in Europa hanno un lavoro regolare e molti altri lavorano in nero. L’integrazione lavorativa è rapida. Mancano alloggi in cui stabilirsi e una maggiore sensibilità per l’integrazione sociale.
L’Europa non sta subendo una “invasione” di stranieri. Nel 2022 erano 24 milioni, pari a poco meno del 5% della popolazione totale. In Australia rappresentano il 29%, negli Stati Uniti il 14%. L’Europa ha bisogno dei migranti, ma non sa o non vuole facilitare ingressi più sicuri e riorganizzare le aree di maggior tensione (che sono in Italia, Germania, Francia e Spagna).
Il Patto sull’immigrazione approvato la scorsa settimana, complesso e articolato, regola i rapporti con i Paesi terzi, il controllo delle frontiere esterne e la distribuzione delle responsabilità tra gli Stati membri.
I Paesi del Sud (Italia, Grecia, Spagna) non hanno ottenuto un fermo impegno da parte degli altri partner per una distribuzione dei richiedenti asilo più equa. Non ci saranno quote di ricollocamenti obbligatorie. I Paesi del Nord potranno pagare 20mila euro per ogni richiedente asilo che non vorranno accogliere.
È consentito anche il trasferimento rapido verso un “Paese terzo sicuro”. In realtà, l’espressione “Paese terzo sicuro” è un eufemismo, perché quello che stanno facendo i Paesi dell’Ue è concludere accordi con Paesi che non sono affatto sicuri (Egitto, Albania), che non rispettano i diritti umani, affinché possano mantenere i loro richiedenti asilo. La formula, inoltre, provoca ricatti come quelli portati avanti da Bielorussia, Marocco e Turchia. Questi “Paesi sicuri” hanno il potere di ottenere benefici politici ed economici in cambio del controllo dei flussi migratori.
L’accordo rafforza i controlli e accelera le espulsioni. E questo vorrà dire che ci saranno meno garanzie. Ci saranno detenzioni generalizzate, anche di famiglie e bambini, e standard di accoglienza disumani nei Paesi di confine sotto pressione.
Lo shock che stiamo vivendo dal 2015 ci descrive bene: abbiamo distrutto la nostra tradizione volendo preservarla.
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