È sempre una festa per Milano la settimana di aprile del Salone del Mobile. La città esplode di vitalità, di sorprese, di gente di ogni tipo e di ogni provenienza che la esplora in lungo e in largo a caccia delle installazioni e delle location. La formula complementare tra l’esposizione nella grande fiera di Rho e la mostra diffusa in tutta la città è una formula che continua a piacere e a conquistare pubblico. È una festa e come tale va vissuta, un po’ come se la città fosse inghiottita per una settimana da un gigantesco luna park.
Detto questo, qualche ragionamento tra le righe va pur fatto. In questi giorni tutte le personalità che contano della filiera dell’arredamento e del design hanno fatto capo a Milano, e più o meno tutte hanno detto la loro. Tra tante voci me ne sono annotate due. La prima è quella di Ugo La Pietra, grande ed eccentrico maestro del design, Compasso d’oro alla carriera nel 2016. In città è presente con una mostra alla Fabbrica del Vapore dal bel titolo Abitare è essere ovunque a casa propria. In un lungo dialogo con Maurizio Giufré pubblicato su Il Manifesto ha toccato un tasto assolutamente condivisibile: com’è possibile che la città capitale globale del design sia così imbruttita da un’assoluta anarchia nell’arredo urbano? Basta aggirarsi per le vie del centro per vedere come l’esplosione dei dehors, che dopo il Covid hanno mangiato spazio pubblico, sia avvenuta al di fuori di ogni regola estetica: via Dante è un campionario horror di strutture di questo tipo che si susseguono, sorte senza regole.
La Pietra giustamente lamenta “la mancanza di un’organizzazione disciplinare per l’arredo urbano che ora com’è facile constatare è in mano a baristi e ristoratori. Anche un gazebo richiede un progetto e vorrei ricordare quelli che ideammo con Ettore Spalletti e Achille Castiglioni negli anni 80 per Torino. All’estero tutto ciò non succede. Sono costituiti gruppi interdisciplinari che osservano e curano la città”. E con una battuta il designer ricorda che in fondo si deve avere l’impegno di pensare al microcosmo di un gazebo “come ad un’opera d’arte pubblica e sociale”.
È un pensiero che riporta ad una riflessione di un altro grande progettista globale arrivato a Milano in occasione della settimana del design, Norman Foster, architetto Premio Pritzker nel 1999, che in città ha firmato l’avveniristico negozio della Apple in piazza Liberty. Foster ha tenuto un incontro affollatissimo al Politecnico. E ha fatto un’osservazione preziosa: quando arriva a Milano e alza gli occhi verso il Grattacielo Pirelli di Gio Ponti pensa sempre al collegamento che c’è tra quell’architettura meravigliosa e i semplici oggetti di design che Ponti ha progettato: il grande rimandava ad un piccolo, il pubblico al domestico.
Oggi questo raccordo sembra invece essersi spezzato. La nuova architettura che ha investito e cambiato la pelle di tante parti della città, non dialoga più con la dimensione quotidiana. È un innesto di tipo soprattutto monumentalistico, che come dice con efficacia La Pietra ha “incrudito” il contesto urbano. Salvaguardare e rilanciare il “saper fare”, il “craft”; rimettere al centro il dettaglio; restituire una priorità alla dignità degli spazi pubblici, com’è avvenuto ad esempio con la sistemazione dell’area intorno al Castello. Prendiamo queste riflessioni come utile lascito della grande festa.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.