Cento anni fa il ventitreenne Paul Ludwig Landsberg pubblica un articolo, dal titolo Chiesa e paganesimo (Hochland, 1924) nel quale, osservando la distretta del suo tempo, apprezza la serietà di contenuti veri ma frammentari, come quelli del “paganesimo devoto” diffusosi massivamente in Europa a partire da Nietzsche. Con determinazione il giovane Landsberg affronta il paganesimo a lui contemporaneo, affermando che la Chiesa, in quanto “erede delle eresie”, è chiamata a confrontarsi con le verità parziali contenute nelle teorie del suo tempo, per cogliere il bene e la misura del non-essere di tali teorie e infine vincerle nel “superarle”, mostrando senza compromessi con lo spirito del tempo “la superiore ampiezza dell’intera fede cristiana”.
Il paganesimo autentico con cui Landsberg si confronta è quello della “servitù” nei confronti della vita, degli uomini e degli dèi e dista come il giorno dalla notte dalla “miseria moderna”, che egli qualifica come “schiavitù” rispetto allo stomaco, alle cose e al denaro, cioè rispetto all’accumulo degli “alimenti” di cui l’uomo moderno necessita per la consumazione della sua vita empirica, priva di un orientamento trascendente. Questa dedizione al mondo delle cose – avverte Landsberg – è un servizio alla vita solo in apparenza, perché “la semplice non-morte non può essere in alcun modo chiamata vita”. Il pagano devoto, al contrario, è veramente “servo della vita”, perché sempre pronto a sacrificare la propria vita empirica per un bene più elevato.
Secondo Landsberg il cristianesimo, provocato dal vero paganesimo, deve riscoprire e reimparare la sacralizzazione e la “santificazione della vita”, dopo avere per secoli trascurato e disistimato la vita, perlomeno a partire dalla sovraspiritualizzazione protestantica, che ha introdotto nella vita di tanti cristiani una caricatura, una “vampirizzazione dello spirito”, cioè uno spiritualismo disincarnato, scarnificato, dove lo spirito “si irrigidisce in intelletto” e in “razionalismo esangue”, che distrugge prima la vita e poi se stesso. Il neopaganesimo odia lo spirito e lo disprezza, perché un certo cristianesimo, per primo, ha disprezzato e schernito la vita.
La visione dell’autentico rapporto di spirito e vita si è offuscata. Per questo Landsberg ritiene, con sant’Agostino, che “tutta la nostra opera in questa vita è sanare l’occhio del cuore, per mezzo del quale si vede Dio” (Discorsi, 88, 5, 5). Con occhio semplice e chiaroveggente Landsberg vede che non è l’esuberanza di vita, ma “la disintegrazione e la carenza di vita a mettere in pericolo lo stesso spirito”. Pertanto, “chi oggi vuol sanare lo spirito, deve cominciare dalla vita. […] Quel che nel grande movimento spirituale del tardo medioevo era vitale, quel che nella biografia di san Francesco e in modo completamente diverso era stato reso presente e inteso nella dottrina tomistica sulla natura e la grazia, la santificazione fraterna dell’essere vivente nella sua interezza, il compimento della natura mediante la grazia, forse può guadagnare oggi il suo pieno significato pratico”.
A ottant’anni dalla sua morte, il pensiero e ancor prima la vita di Landsberg, nell’unità di vita e di morte, ha ancora molto da dire all’uomo contemporaneo e all’Occidente. Ad esempio, ha molto da dire alla Germania dove, ottant’anni dopo l’Olocausto, l’ebreo è – per usare un eufemismo – “persona non gradita” (per una seria inchiesta, si veda G. Meotti, L’Europa senza ebrei. L’antisemitismo e il tradimento dell’Occidente, Lindau, Torino 2020; Id., Per non essere aggrediti, gli ebrei in Germania devono nascondersi, Il Foglio, 8 feb. 2024; F. Bussotti, L’impennata dell’ultradestra e la recrudescenza dell’antisemitismo in Germania dopo il 7 ottobre, Il Foglio, 3 feb. 2024).
E ha molto da dire anche alla Francia, orgoglioso emblema delle società occidentali, oggi pervase non più dal paganesimo precristiano, né dall’empito di vita del neopaganesimo, ma da un feroce, ferale anticristianesimo. Da questo spirito del tempo la Chiesa non ha da imparare nulla, tantomeno un apprezzamento della vita, poiché esso è un brindisi lucidamente folle alla morte, in nome dell’oltrepassamento delle norme del Padre e dei padri, ritenute demodé, in nome del nuovo che avanza, la laïcité e la liberté. Ma quale novità. Ma quale libertà. La ratifica costituzionale della “struttura di peccato” (san Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 12, 59) casomai è segno di schiavitù in fase avanzata. Per coloro che hanno brindato alla costituzionalizzazione francese dell’aborto valgono le parole antiche: “gli empi invocano su di sé la morte con le opere e con le parole; ritenendola amica, si struggono per lei e con essa stringono un patto, perché sono degni di appartenerle” (Sapienza 1,16). Il peccato più grave, oggi, non è tanto il singolo peccato commesso dall’uomo, ma il modo in cui esso viene perpetrato, quando ormai intere società, ebbre di parricidio e di necrofilia, chiamano con nonchalance “vero” il falso e “bene” il male.
L’1 giugno 1980 a Parigi san Giovanni Paolo II poneva due domande al popolo francese: “Francia, figlia primogenita della Chiesa, sei tu fedele alle promesse del tuo Battesimo?”; “Francia, figlia della Chiesa ed educatrice dei popoli, sei tu fedele, per il bene dell’uomo, all’alleanza con la Sapienza eterna?”. Guardando la Francia di oggi, all’indomani della costituzionalizzazione dell’aborto, viene in mente quel che cantava Claudio Chieffo: “L’imbecillità è al potere”.
A patire le pesanti conseguenze dell’odierna, pervasiva “cultura della morte” – per non parlare della vita umana non ancora nata – sono i giovani. L’empito di vita della gioventù oggi è sottilmente invidiato, avversato, ostacolato, schernito, mortificato dall’anticristianesimo proliferante e strisciante nelle società occidentali, anticristianesimo che viene contraddittoriamente presentato come modello di vita autentica ai giovani stessi da parte di cultori della morte vari e molteplici. Cento anni fa, il giovane Landsberg scorge nel movimento giovanile cristiano del suo tempo i segni incoativi di una reale uscita dalla impasse del distruttivo antagonismo di spirito e vita: “Il movimento giovanile ripristina innanzitutto la pienezza primaria della vita di cui anche lo spirito è bisognoso. Esso è il risveglio e la legittima difesa della vita bistrattata da uno spirito separato. […] Questo è il compito del movimento giovanile cristiano: conservare la pienezza di vita già ridinamizzata e apportare la signoria dello spirito. Esso rimane un movimento vitale, ma conformato spiritualmente. Sotto lo spirito la vita si risveglia e si ordina spontaneamente, spirito che è stato salvato dalle comunità cristiane e in particolare da quelle cattoliche nei tempi di decadenza. Questo è il fenomeno del movimento giovanile cristiano, cattolico. Esso rappresenta l’inizio di una nuova posizione cristiana adeguata alla vita, posizione che è presente nelle migliori tradizioni del cattolicesimo, l’inizio di una soluzione reale del nostro problema”.
Una soluzione al problema del suo tempo e, un secolo dopo, al nostro, fermo restando che oggi, in modo forse ancor più drammatico e travagliato che nel secolo scorso, il ritorno della pienezza di vita sotto la signoria dello spirito non potrà avvenire senza il riconoscimento, da parte dei giovani, della propria figliolanza e, quindi, non senza il loro rimanere in spirito di obbedienza nel vivificante irraggiamento della paternità del “Padre degli spiriti” (Eb 12,9) e di coloro che sono loro padri nella vita e nello spirito. E non avverrà senza il ritorno a tale Paternità, qualora il figlio abbia rinnegato (e ucciso) nel proprio cuore il Padre e il padre. La speranza che il cuore dei padri si converta verso i figli e il cuore dei figli verso i padri è forse la speranza che attraversa silenziosa il nostro tempo.
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