Con una lunga barba ormai diventata bianca e una battaglia durante più di 35 anni che era culminata in una prima (timidissima) vittoria lo scorso anno, è morto ad 87 anni Vincenzo Agostino, famoso come ‘padre coraggio’ per essersi battuto instancabilmente, fino all’ultimo respiro, per ottenere giustizia in nome di suo figlio, ucciso nel 1989 dalla mafia siciliana. Una storia di determinazione, che è diventata simbolo di un periodo storico difficile per il nostro paese e che solo un paio di anni fa era finita al centro di un docufilm, ‘Io lo so chi siete‘, incentrato proprio sulla morte del figlio di Vincenzo Agostino e sulla sua battaglia contro uno stato che ci ha messo più di 30 anni a dargli risposte, anche se non tutte.
Così, seguendo la moglie Augusta Schiera (che è morta nel 2019, all’età di 80 anni) anche ‘padre coraggio’ non ha mai visto realizzarsi il suo ultimo (e forse unico) sogno: dare un volto, un nome e, soprattutto, una cella ben chiusa a coloro che nel 1989 uccisero loro figlio. Fu proprio sulla sua tomba che Vincenzo Agostino promise al mondo intero che non avrebbe più tagliato la sua barba fino al momento in cui giustizia non fosse stata fatta, ma tristemente, come ha ricordato nel cordoglio Sandro Ruotolo (responsabile Informazione, cultura e memoria del Pd), “è morto con la barba, ormai bianca”.
La storia e la battaglia per la verità di Vincenzo Agostino
La lunga (lunghissima) battaglia di Vincenzo e di sua moglie Augusta iniziò, come si diceva, nel 1989 quando in un soleggiato 5 agosto a Villagrazia di Carini due sicari uccisero a sangue freddo Nino Agostino e Ida Castelluccio: lui, 28enne, era un poliziotto, mentre lei, 19enne, era sua moglie da appena un mese e portava in grembo loro figlio. Inizialmente gli inquirenti affidarono a quell’omicidio l’etichetta di ‘passionale’, salvo poi scoprire che alcuni uomini entrarono nella casa di Nino e Ida per trafugare alcuni documenti che, scoprì Vincenzo Agostino anni dopo, erano inerenti a delle indagini segrete che il poliziotto stava facendo sui latitanti di Cosa nostra, per conto niente meno che di Giovanni Falcone.
I coniugi Agostino hanno iniziato, così, la loro battaglia, fatta di sit-in e manifestazioni, attirandosi le simpatie di mezza Italia e, soprattutto, l’antipatia di quei mafiosi che contribuirono (denunciò lo stesso Vincenzo) ad insabbiare e depistare sia l’omicidio, che le indagini. Con un salto avanti fino al 2023, infine, la battaglia di Vincenzo Agostino (troppo tardi affinché potesse goderne anche la moglie Augusta) ha portato alla condanna all’ergastolo contro il boss mafioso Nino Madonia, ritenuto responsabile materiale dell’omicidio assieme all’altro boss Gaetano Scotto, ancora in attesa di giudizio.