Il 25 aprile ricorda l’insurrezione generale contro i nazifascisti proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia nel 1945. Questo atto, da cui sono derivati gli ultimi combattimenti della guerra partigiana e alla fine la liberazione del Paese per opera delle forze partigiane prima ancora che gli alleati giungessero al Nord, merita di essere ricordato con il massimo rispetto da parte di tutti e senza strumentalizzazioni.
Il 25 aprile 1945 arrivava dopo i tragici eventi che l’Italia aveva attraversato dal 25 luglio 1943, ed esattamente: la fine del fascismo con l’arresto di Mussolini, l’invasione delle forze alleate ai primi di agosto dello stesso anno e l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre, cui fece seguito subito dopo la fuga del Re da Roma con il suo seguito e la frattura dell’Italia tra Regno del Sud e Repubblica Sociale Italiana.
Dal punto di vista istituzionale la svolta, mentre al Nord infuriava la guerra partigiana, fu dettata dal Patto di Salerno nell’aprile del 1944, quando si arrivò al compromesso tra le forze politiche del Comitato di Liberazione Nazionale, la Monarchia e Badoglio per la formazione di un governo di unità nazionale, il trasferimento dei poteri costituzionali al Principe Umberto quale Luogotenente del “Regno” (e non del “Re”) e la decisione di convocare le elezioni, alla fine della guerra, per la formazione di una Assemblea costituente che avrebbe dovuto decidere sulla forma dello Stato e sulla nuova Costituzione. In altri termini, il Patto di Salerno si può considerare una “costituzione provvisoria” che, se non sostituiva, al momento integrava lo Statuto Albertino.
Entro il 1° maggio 1945 l’Italia del Nord fu tutta liberata e perciò, finita la dittatura fascista e la guerra, cominciava la ricostruzione dell’Italia, cioè la ricostruzione di una Patria tradita, di una Nazione infranta e di uno Stato senza autorevolezza.
A parte episodi tragici, come uccisioni e vendette politiche e personali, lo spirito del 25 aprile fu da subito uno spirito gioioso di solidarietà e di grande cooperazione, ma soprattutto uno spirito di riconciliazione. Gli italiani si erano divisi tra due autorità politiche contrapposte e si erano combattuti come nemici in una guerra civile fratricida, ma non appena deposte le armi i nemici combattenti si riconobbero di nuovo come figli della stessa madre Patria.
Gli odii di parte furono a lungo attivi e le epurazioni e gli arresti caratterizzarono il periodo successivo, anche perché si andava verso il Referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea costituente del 2 giugno 1946 e si voleva impedire ogni forma di inquinamento fascista.
Ma una volta adempiuti questi atti con la proclamazione della Repubblica, come si conviene quando una guerra è finita, con chiara demarcazione di chi ha vinto e di chi ha perso, doveva arrivare la riconciliazione tra vincitori e vinti; solo la riconciliazione segna il vero inizio della pace, perché la riconciliazione riporta i vinti dallo stato di sottomissione ai vincitori alla condizione di parità ed eguaglianza con questi.
Sono principi chiari che derivano dal diritto internazionale, ma che a fortiori valgono per la fine delle guerre civili. E così la tristezza di quei tempi fu alleviata dall’amnistia, che riguardava i reati comuni e quelli politici, compreso quello di collaborazionismo e i reati connessi a questo, come l’omicidio, commessi a partire dall’8 settembre 1943 e sino al 31 luglio 1945.
L’amnistia fu voluta dall’intero governo, anche se denominata “amnistia di Togliatti”, che allora era ministro di Grazia e Giustizia. Fu applicata ai fascisti e anche ai partigiani; fu emanata venti giorni dopo le elezioni del 2 giugno, ed esattamente il 22 giugno 1946, e tre giorni prima dell’inizio dei lavori dell’Assemblea costituente, che si riunì per la prima volta il 25 giugno 1946.
La Costituzione repubblicana approvata dall’Assemblea costituente porta i segni dell’antifascismo, nata – come diceva Calamandrei – dall’incontro di tre filoni di pensiero: quello liberale, quello cattolico e quello socialista. Alle donne e agli uomini della Costituente dobbiamo i diritti di libertà e quelli sociali, la democrazia politica e il primato del Parlamento e soprattutto il riconoscimento del principio personalista, per il quale la persona viene prima dello Stato, e il principio autonomista, secondo cui gli enti delle comunità locali, Regioni, Province e Comuni, appartengono ai cittadini che vi vivono e non allo Stato. La Repubblica stessa è dei cittadini e non può esservi persona, istituzione o ente che se ne possa appropriare o dichiararsi assoluto detentore del potere pubblico, perché la Repubblica è democratica e poggia sulla sovranità del popolo.
La Costituzione fu ferma contro la Monarchia, prevedendo l’esilio eterno per Casa Savoia e i suoi discendenti maschi (cessato solo nel 2002), e il Fascismo, vietandone per sempre la ricostituzione del partito, e ha statuito l’impossibilità di ritorni al passato; ma fu fraterna con tutti coloro che avevano militato anche nel fronte opposto, prevedendo solo per un quinquennio dalla sua entrata in vigore “limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”.
La Costituzione così si poneva come la Carta di tutti e della riconciliazione; di coloro che avevano combattuto dalla parte giusta e non meno di coloro che avevano combattuto dalla parte sbagliata, perché la libertà, i diritti e la democrazia sono per tutti, senza che nessuno possa chiedere ad ognuno di noi quali sono state le nostre credenze nel passato.
Questo è lo spirito del 25 aprile, la festa della liberazione, del 2 giugno, la festa della Repubblica e di tutte le altre feste che onorano l’unità d’Italia, il tricolore e i caduti di tutte le parti.
Poniamoci allora, come italiani di questa Repubblica, oggi, altre domande. È la patria amata per come merita? È la nazione italiana l’espressione della nostra unità di popolo? È lo Stato italiano l’autorità che amministra tutti i cittadini con giustizia e verità?
Diano i politici, innanzi tutto, una risposta a queste domande, ma la dia anche ognuno di noi, per comprendere se le ferite della guerra civile sono veramente guarite del tutto.
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