Tenere aperte le scuole pubbliche d’estate è un esperimento essenziale. Lo è per diversi motivi. In primo luogo la scuola pubblica deve abbandonare il ruolo di luogo di mero parcheggio dei ragazzi e divenire una istituzione al servizio delle famiglie. Tenerle aperte nei mesi estivi significa usare i plessi scolastici e far lavorare, pagandoli a parte, docenti e personale scolastico. Una occasione di mettere le famiglie in condizione di ricevere un supporto importante e moderno, in linea con i nuovi comportamenti degli italiani. Tante famiglie non passano più interi mesi in vacanza e tante coppie lavorano nei mesi estivi senza sapere dove appoggiarsi per gestire i ragazzi. Le alternative, che restano, sono spesso costose o lontane e si presentano come un necessario ulteriore sacrificio per le famiglie atomizzate, ovvero quei nuclei familiari che non hanno una rete familiare ampia a cui appoggiarsi per gestire nei mesi estivi il tempo dei figli.
Il fatto che Stato non se ne occupasse non era un bel segnale. Anzi, vedere le scuole vuote ed i ragazzi senza supporto in una società in cui al massimo si posso avere due o tre settimane di ferie lasciava intendere che il messaggio fosse solo quello di arrangiarsi. E perciò laddove si potrà avere questa opportunità darà di sicuro un aiuto. Inoltre l’uso delle scuole, come edifici, ed il fatto di offrire un’occupazione ed un reddito aggiuntivo a chi se ne occuperà ha un alto valore simbolico. Ovvero dire che la scuola non è solo il luogo in cui si tiene lezione, ma un sito in cui le famiglie trovano risposte ai loro bisogni per i ragazzi.
Di certo i dubbi se l’esperimento riuscirà e se i servizi saranno all’altezza è lecito. Così come il dubbio se si sia o meno in grado, in molte aree del Paese, di tenere aperte le scuole d’estate quando neppure di inverno a volte funzionano. Sicuramente la scuola soffre di abbandono da decenni e merita altre risorse aggiuntive per fare tante cose. Ma il fatto che sia rimasta immutabile negli anni la gestione del calendario scolastico, come quando c’erano le vacanze di tre mesi e le famiglie ampie con nonni e zii disponibili è stato un grave errore per le neo-famiglie, che si sono ritrovare una società diversa da quella che li ha cresciuti e con servizi assenti rispetto alle loro esigenze.
Perciò questo esperimento è essenziale, perché lancia comunque un segnale e prova a sovvertire una tradizione che si perpetua a dispetto di quello che ha attorno. Che poi riesca o meno, che sia perfettibile è tutto da vedere. Ma nessuno può pensare che la crisi di natalità del Paese la si risolva lasciando immutato il contesto dei servizi e delle opportunità per le famiglie. Lo Stato deve occuparsene e dare delle risposte facendo propria l’offerta in una situazione in cui, mancando un strategia, il campo era solo nelle mani di enti terzi.
Ben venga quindi che alcune scuole pubbliche ed il loro personale si occupino dei ragazzi nei mesi estivi, senza oberarli di compiti o lezioni, ma dandogli l’occasione di scoprire che nelle scuole si può anche passare del tempo a far nulla o fare qualcosa di piacevole. Serve e servirà questo esperimento che mette in gioco risorse umane e strutture per i tanti, tantissimi ragazzi e le tante famiglie che non avevano alcun supporto assieme ai tanti privati che continueranno ad offrire i loro servizi. Perché si sa, la vigna è grande, ma i vignaioli sono sempre pochi.
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