calderol 28La “autonomia differenziata” è approdata ieri alla Camera dei deputati. Se non saranno approvati emendamenti, il ddl si trasformerà in legge nel giro di qualche settimana, benché, come è noto, vi siano forti opposizioni all’approvazione dentro e fuori dalla maggioranza.
Il clima politico non è favorevole ad una valutazione equanime del provvedimento, ormai declassato a norma che “distrugge il Sud”, che favorisce “la secessione dei ricchi”, che “distrugge l’unità della Repubblica”. Le voci contrarie sono così forti che è praticamente impossibile ricondurre la discussione ad una dimensione appropriata: ormai, ogni tentativo in tal senso è destinato al fallimento perché il giudizio negativo che se ne dà è praticamente senza appello.
È quindi solo sommessamente utile dare qualche elemento meramente descrittivo, da sottoporre a chi voglia provare a fare qualche verifica in modo… autonomo, anche solo leggendo il provvedimento (che pure non è un capolavoro di tecnica legislativa, soprattutto dopo gli inserimenti introdotti dal Senato).
Il ddl regola due procedimenti, uno preliminare all’altro. Il primo riguarda la definizione dei cosiddetti livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da erogare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Si tratta di dare attuazione ad una norma della Costituzione che affida tale funzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Tale procedimento – complesso, se si pensa che in pratica dovrà compiere un’operazione in modo uniforme che non è mai stata fatta in vent’anni di vigenza della norma stessa – dovrà essere posto in essere prima di dar seguito ad eventuali richieste di una o più Regioni di avere qualche funzione in più di quelle che attualmente sono loro state attribuite dalla legge statale (funzione amministrativa, sia chiaro, che sono le uniche che comportano un dispendio di spesa).
Il lettore attento potrà certamente rendersi autonomamente ragione di quanto detto, senza bisogno di esegeti.
Dunque, prima i LEP, poi – eventualmente – attuazione dell’art. 116, III comma il quale – pur essendo stato aspramente vituperato fino a sentirsi tacciato di essere esso stesso incostituzionale – disciplina uno schema di procedimento già abbastanza evoluto: occorre infatti, per dettato costituzionale, che la richiesta provenga da una Regione, sentiti gli enti locali; che tale richiesta sia coerente con le regole della finanza pubblica (art. 119 Cost, tutt’ora inattuato): che il Parlamento voti a maggioranza una legge che recepisca l’intesa stipulata tra il Governo nazionale e la Regione richiedente. La richiesta può aver oggetto solo funzioni (amministrative) ricomprese tra le materie di competenza concorrente di cui all’art. 117, III comma, più alcune altre. A ciò si aggiungono le regole previste dal ddl in esame, che essenzialmente incrementano i passi procedimentali per giungere all’approvazione dell’intesa inserendo pareri di svariati organi (tra cui la Conferenza Stato-Regioni) e atti di indirizzo del Parlamento.
Qualcuno dirà: tutto qui?
Ovviamente no. Soprattutto la parte sui LEP presenta molte difficoltà, perché si richiede che oltre ai LEP vengano definiti costi e fabbisogni standard per ogni prestazione (delle migliaia che lo Stato, le Regioni e i Comuni erogano a favore dei cittadini) e che si proceda all’erogazione di fondi pubblici in base ai quali detti enti siano messi in grado di erogare le prestazioni stesse.
Nel frattempo quelle Regioni che vorrebbero svolgere qualche funzione in più (e che ci provano dal 2007, senza successo) forse si saranno scoraggiate o forse potrebbero accontentarsi di qualche funzione marginale che non comporti alcun riferimento ai LEP, sempre che questo serva allo scopo che è di avere – per determinate materie – tutte quelle funzioni che consentano alla Regione di avere in mano tutte le leve per poter svolgere al meglio le proprie funzioni senza continue interferenze da parte dello Stato centrale.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.