1 maggio 2024: al lavoro manca ancora una politica

L'occupazione nel nostro Paese aumenta, ma sembra mancare ancora una politica del lavoro, che guardi soprattutto ai giovani e alle loro istanze

Gli incentivi per il lavoro varati dal Governo potranno essere benvenuti per molti italiani, imprenditori e disoccupati: ma l’annuncio alla vigilia del Primo Maggio, a  cinque settimane dal voto europeo e in uno stesso pacchetto con un “voucher” di 100 euro per l’inizio del nuovo anno non rappresentano un vertice di estetica politica. E neppure di sostanza: laddove, dopo 18 mesi, una politica del lavoro del Governo Meloni tarda a prendere forma. Può darsi che l’elezione di Emanuele Orsini a Presidente di Confindustria sblocchi una parte sociale, mentre da parte sindacale restano le divisioni fra organizzazioni, mentre (soprattutto in campagna elettorale) non è assente qualche fenomeno storico di “cinghia di trasmissione”. Resta il fatto che il partito di maggioranza relativa, che esprime la Premier, non sembra essersi messa in reale sintonia né con i datori né con i lavoratori del settore privato: scontando forse più del dovuto un radicamento elettorale presso i dipendenti pubblici.

Ed è pur vero che oggi gli impulsi veri tendono a venire sempre di più dall’Ue – che sta rinnovando la sua intera governance, in un passaggio critico sul piano geopolitico – in sinergia stretta con la politica industriale e degli investimenti pubblici. La possibilità di creare velocemente nuovi posti di lavoro – e di alzare i livelli retributivi premuti dall’inflazione –  dipenderà molto dalla direzione e dalla velocità di macro-orientamenti come la transizione verde (in fase di sostanziale stand by) e i programmi di riarmo europeo (e non ultimi quelli riguardanti la ricostruzione dell’Ucraina, auspicabilmente il più presto possibile). È comunque evidente che – non solo in Italia – la spinta del Pnrr va rinnovata e nel caso rimodulata, anche in chiave di numeri e qualità occupazionali.

Nel frattempo, tuttavia, non possono sfuggire segnali meno strettamente macro-economici (non manca chi attribuisce all’inefficienza del mercato del “primo lavoro” una parte non piccola dei fenomeni di disagio giovanile sfociati nelle tensioni universitarie). Una ricerca appena sfornata da Ipsos e Legacoop su un campione rappresentativo di giovani fra i 18 e 34 anni colloca solo in ottava posizione il lavoro come valore in sé nella scala esistenziale. Il “job” tradizionale è essenzialmente una fonte di reddito (entro certi limiti perfino in competizione con altre) e soggetta ad altri valori, vissuti come più importanti: come la realizzazione di sé (umana e professionale), il partecipare a un’organizzazione con regole flessibili e a bassa conflittualità interna.

La survey ha dunque riportato a una questione centrale in era post-Covid: perché molti giovani – oltre a non “trovare lavoro” – rifiutano talvolta quello che gli viene offerto? Fino al punto di lasciarlo volontariamente dopo pochi mesi o anni. Un sistema-Paese come l’Italia non può continuare a non essere all’altezza di una “politica del lavoro giovanile”. Non può esserlo dopo aver buttato nel cestino il Jobs Act costato anni di lavoro politico mirato a far funzionare davvero il mercato. Non può rinunciarvi quando le ondate migratorie stanno cominciando a essere (molto timidamente) considerate una risorsa, ma solo a patto di essere incorporate in grandi scelte politiche. Con il lavoro non solo slogan da Primo Maggio.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Ti potrebbe interessare anche

Ultime notizie

Ben Tornato!

Accedi al tuo account

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

Recupera la tua password

Inserisci il tuo nome utente o indirizzo email per reimpostare la password.